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Una versione alternativa di Elisa di Rivombrosa3

I PUNTATA _ SEGRETI E RIMPIANTI

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    Visto che si tratta di una storia d'amore, posto anche qui la mia fanfiction...
    E' nata dal rimpianto per la fine tragica dell' amore unico, tra Elisa e Fabrizio, in EdR2...e spero condividiate con me il sogno che continui per sempre, come in una bella fiaba! ;)

    I PUNTATA

    Mentre spronava il baio impaziente attraverso il declivio scosceso che conduceva al lago, la splendida amazzone si volse per un lungo istante, come in attesa.
    Pure, nessuna figura si delineò oltre la curva gentile e nebulosa della collina, come ci si sarebbe aspettati in un primo momento. La gentildonna socchiuse allora gli occhi, quasi ad indugiare su un segreto pensiero e, restituendo la chioma indomita ai capricci del vento, tornò ad appiattirsi sul dorso dell’animale, al galoppo. Sebbene la raffinata eleganza degli abiti e l’indiscutibile grazia dei movimenti, non sembrassero lasciare dubbi sulla sua estrazione sociale, vi era una tale fresca e inconsapevole inosservanza dell’etichetta nel suo contegno, nel suo stesso incauto vagabondare senza scorta alcuna, da apparire quantomeno singolarmente inusuale in una dama d’elevato lignaggio.
    L’aria pungente del primo mattino faceva sentire la sua morsa inclemente, ma la giovane donna pareva non curarsene affatto, si lasciava inebriare dall’acre fragranza di resina, che i boschi di conifere sprigionavano tutt’intorno, e dalla sensazione esaltante di quella corsa, quasi a volervi estinguere caparbiamente ombre importune.
    Oltre il poggio erboso punteggiato di faggi, si apriva la radura che circondava l’immenso specchio d’acqua del lago; i primi timidi chiarori dell’alba ne animavano la superficie lattiginosa di riflessi cangianti e molteplici, e riaccendevano dolcemente i colori di quell’universo sopito, dove ogni cosa si svestiva del suo involucro d’ombra per offrirsi senza difese alla luce inesorabile del giorno.
    La figura armoniosa rallentò l’andatura del cavallo fino a fermarsi in prossimità della distesa scintillante, scese agilmente e, dopo aver legato saldamente le redini ad un ramo vicino, si mise a sedere sul tronco di un albero abbattuto, che affiorava dal verde tenero della riva.
    Le solitarie passeggiate mattutine erano ormai divenute una piacevole consuetudine. Contrariamente a quanto accadeva alle gentildonne di nascita aristocratica, la giovane contessa Ristori non si faceva mai scrupolo a girovagare da sola, quell’abitudine le veniva dai tempi in cui non era che un’umile serva, quando la sua indole orgogliosa e ribelle la spingeva a trovare un’evasione alla sorveglianza serrata di padroni dispotici ed esigenti. Persino adesso, tuttavia, la conquista di un prestigio sociale che la affrancava da soprusi ed imposizioni, non aveva reso meno impellente, in lei, il bisogno di ritagliarsi uno spazio tutto suo, lontano dal frastuono del mondo. Si era interrogata a lungo sulla ragione di quell’inquietudine che rifuggiva gli sguardi, aveva frugato in fondo al suo essere e aveva scoperto che la risposta era sempre stata lì, per quanto dolorosa, racchiusa in un rimpianto che nemmeno il nuovo amore era riuscito a cancellare.
    Si lasciò quietare in silenzio dalla pace che la avvolgeva, sperdendo le barriere tra i pensieri quando, d’improvviso, le parve di distinguere un crepitio intermittente, come di foglie secche che cedono sotto passi lenti e circospetti, lo scricchiolio prolungato si ripeté ancora, poi cessò del tutto. La contessa trasalì e si voltò di scatto nella direzione di quel suono, si alzò in preda ad un’agitazione crescente, giusto in tempo per cogliere un fuggevole movimento tra le fronde di un albero, il fulmineo saettare di un tabarro scuro che svaniva nel folto del bosco.
    Non sembrava esservi alcun dubbio, ormai. Qualcuno l’aveva spiata per tutto quel tempo, indisturbato, ma chi? E quale poteva mai esserne la ragione?
    Uno stormo di uccelli sfiorò, planando, le volute concentriche, che il guizzo di un pesce doveva aver disegnato sulla liquida superficie del lago, poi si udì soltanto il lieve frusciare delle acque che carezzavano la riva. Ma la magia era stata spezzata, e la giovane donna non riusciva a scrollarsi di dosso l’orribile sensazione che il suo rifugio fosse stato irreparabilmente profanato.
    Montò rapidamente a cavallo lanciandolo al galoppo verso la tenuta, intendeva allontanarsi il più possibile da quei luoghi e da quel cavaliere misterioso…


    Finalmente i contorni noti di Rivombrosa apparvero all’orizzonte, esercitando un’influenza rassicurante sull’animo turbato della giovane amazzone. Man mano che lei si avvicinava, gli alti e verdi olmi, che facevano da sentinelle, oltre l’ampia cancellata, sembravano perdere compattezza per cederle cavallerescamente il passo. L’antica dimora parve allora stiracchiarsi oziosamente sotto il sole incerto del primo mattino, delineandosi, con aerea levità, su uno sfondo d’alabastro.
    Le guance arrossate per l’affanno e il vento sferzante, la contessa salì in fretta i gradini dell’elegante scalinata che dava accesso al portone centrale, percorse la lunga galleria che la separava dalla sua stanza e, in un movimento rapido e deciso, si richiuse la porta alle spalle.
    Il gentiluomo dalla folta chioma bruna, il capo abbandonato in una plastica movenza, tra i cuscini di seta, dormiva ancora. I bei lineamenti distesi dal sonno apparivano quelli di un bambino imbronciato. La donna sorrise brevemente, con tenerezza e prese a svestirsi a gesti lenti e aggraziati.
    - …Mi addormento con una bellissima dama e finisco con lo svegliarmi tutto solo…dove sei stata ancora, Elisa?-
    Per quanto torpida e indolente, l’inflessione della voce maschile alle sue spalle, tradiva una nota perentoria che non concedeva spazio al silenzio. La contessa levò il volto con un brivido breve, improvvisando un incerto sorriso.
    - Mi era impossibile dormire, stamani, così ho fatto una cavalcata fino al lago…-
    - Potevi almeno svegliarmi, sarei venuto volentieri con te…sai bene quanto sia imprudente per una signora, avventurarsi da sola a quest’ora del mattino! –
    Ignorando quanto pericolosamente le sue ansie si avvicinassero alla verità, il gentiluomo si sollevò su un gomito, continuando a fissare preoccupato la figura armoniosa di fronte a lui.
    Elisa si sforzò di restituire ai suoi scuri occhi indagatori, uno sguardo sereno e rassicurante.
    - Credo che la tua esagerata apprensione ti faccia vedere pericoli e insidie laddove non ce ne sono, Cristiano – mentì con disinvolta leggerezza – conosco questi luoghi come le mie tasche, e mi avventuro senza scorta da quando non ero che una bimbetta! –
    Sconosceva la ragione che l’aveva spinta a tacere del misterioso incontro tra i boschi, un’intima resistenza le impediva di parlarne, sia pure all’uomo al quale, molto presto, sarebbe appartenuta per il resto della sua vita. A quel pensiero provò un’inspiegabile stretta allo stomaco, la memoria riandò al ricordo di un tempo, non molto lontano, in cui aveva atteso con trepidazione che un altro uomo coronasse il suo sogno d’amore, aveva creduto con tutta se stessa che quel sogno non potesse venire infranto. Invece si era bruscamente svegliata.
    Cristiano la trasse dolcemente a sé, sfiorò con il palmo della mano, una mano di lei, la strinse, le accarezzò il polso, poi parve tracciare il contorno delle spalle e giunse, infine, a sfiorarle una guancia. Quel gesto sensuale e tenero conteneva una muta richiesta che attendeva pazientemente una risposta.
    - E’ solo che …tu sei troppo preziosa ai miei occhi, amor mio…- sussurrò con voce colma di desiderio il principe, portando a termine l’opera seducente che la nostra eroina aveva inconsapevolmente iniziato sotto il suo sguardo.
    Elisa si contrasse impercettibilmente, il tocco di quelle mani indolenti e imperiose a un tempo la faceva sentire singolarmente in trappola. La tempesta interiore che la invadeva non le consentiva di lasciarsi andare alla tenerezza senza provare una fitta di fastidio. Tuttavia, non conosceva alcun pretesto per sottrarvisi senza rischiare di ferire Cristiano, all’oscuro da tanti foschi pensieri.
    Le sue carezze stonate, i suoi baci dissonanti fecero eco a quelli appassionati di lui, fondendosi nella penombra indulgente che avvolgeva la stanza.


    La figura scura, racchiusa nell’ampio tabarro, avanzò con cautela sulla coltre di foglie del sottobosco. Due occhi di ghiaccio scintillavano di una luce impenetrabile attraverso le fronde che facevano da schermo, curiosamente fissi sull’immagine di donna che campeggiava contro l’azzurro sbiadito delle acque. D’un tratto il ramo, che stringeva inconsapevolmente con una mano, si spezzò di netto, in un suono secco che lo ridestò dai suoi pensieri. Distolse allora bruscamente lo sguardo dalla seducente visione, indietreggiò di qualche passo e si allontanò furtivo, proprio nell’istante in cui la contessa si volgeva, attratta da quei rumori.
    Non fu che un attimo e la figura si dileguò tra i boschi, con movimenti felini e scattanti, tagliando diametralmente verso la china erbosa, dove la sua cavalcatura attendeva, scalpitante d’impazienza.
    Se l’agilità elegante e disinvolta con cui montò, d’un balzo, in sella e la sicurezza altera di ogni suo impercettibile movimento non fossero bastate a tradire, nel cavaliere, delle origini aristocratiche, l’improvviso sfavillio di un sigillo, sulla sua mano dinoccolata, parve fugare ogni incertezza.
    La luminosità del giorno muoveva già verso il silenzio del crepuscolo, quando il gentiluomo giunse a Torino, dopo aver cavalcato per ore ad una velocità sostenuta. Si era concesso solo il tempo di un pasto veloce in una stazione di posta di passaggio, e tuttavia, la sua espressione imperturbabile non lasciava trasparire la benché minima ombra di stanchezza. Egli percorse al trotto uno stretto vicolo di periferia, finché non tirò le redini dinanzi all’insegna arrugginita di quella che, a giudicare dall’aspetto, risultava essere una locanda di second’ordine.
    Non appena ne ebbe varcato la soglia, la proprietaria, una donna corpulenta dai modi ossequiosi e la cuffia di sghimbescio, gli si fece sollecitamente dappresso e allargò goffamente le gonne in un inchino, tanto profondo quanto elevata doveva essere la sua considerazione per il gentiluomo.
    - Sua Signoria desidera cenare subito? Devo servire in camera o nella saletta ? …–
    Sua Signoria levò un dito ad arrestare quel pedante flusso di parole:
    - Attendo un ospite per le sette, la saletta privata andrà benissimo, vi ringrazio. -
    - Certo Vostra Signoria, per le sette, come Vostra Signoria desidera! Michele, accompagna il conte d’Anvau alla sua stanza! – tuonò la donna, rivolgendosi imperiosamente ad un ragazzetto spaurito.
    - Non sarà necessario, grazie. Conosco benissimo la strada! – il gesto di protesta era stato categorico e la locandiera rimase a fissare la sagoma fiera che scompariva su per le scale.
    La locanda del “Cavaliere errante” era una stazione di posta assai modesta, ma disponeva di stanze confortevoli e pulite ed era sorprendentemente provvista di una cuoca eccellente.
    Dopo essersi liberato del mantello, Sua Signoria si lasciò cadere sull’unica poltrona che faceva da arredo all’esigua stanzetta, e sembrò sprofondare in una cupa meditazione.
    Più tardi, quando dei colpi solleciti all’uscio lo richiamarono alla realtà, egli non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso. Al suo invito la porta si dischiuse lasciando passare il locandiere:
    - Un gentiluomo chiede del conte d’Anvau, Vostra Signoria, presumo si tratti dell’ospite che attendevate…-
    - Bene, introducetelo pure nella saletta, arrivo subito e, un’ultima cosa buonuomo…il mio incontro è molto personale. Sono certo di poter contare su di voi affinché nessuno debba interromperci -
    Il locandiere gli rivolse uno sguardo penetrante, e s’inchinò brevemente, il viso grassoccio una maschera imperscrutabile:
    - Certamente Vostra Signoria, contate pure su di me..e sulla mia discrezione. – disse soltanto, e si allontanò.
    L’ospite annunciato lo attendeva dabbasso, nel piccolo ambiente predisposto per gli incontri privati, le mani protese verso la fiamma vivace del camino. Si voltò, all’ingresso del gentiluomo, e accompagnò il saluto con il breve accenno ad un inchino a cui l’altro rispose prontamente:
    - Siete il benvenuto, amico mio, accomodatevi ve ne prego- lo invitò calorosamente il conte, indicando una sedia poco distante – non si può certo dire che questa locanda abbia un aspetto edificante, ma credo di poter affermare che, almeno la cucina è eccellente. Volete farmi l’onore di essere mio ospite per la cena? –
    L’ espressione di sorpresa che si era dipinta sul volto del suo interlocutore, scomparve quasi subito per cedere il posto a un sorriso amichevole.
    - Sarà per me un privilegio, accettare il vostro invito. –
    Il conte versò del chiaretto nei due calici, che facevano bella mostra sulla tavola, e ne porse uno all’altro commensale. Alla luce soffusa delle candele, il riflesso delle fiamme avvolgeva di bagliori ambrati e tremolanti il cristallo convesso. Sua Signoria sorseggiò lentamente il vino:
    - Dubito che sia della qualità di quello che producete voi stesso, ma non è affatto disdicevole, credetemi! ….E ora ditemi, amico mio, che nuove mi portate?-
    L’interlocutore parve esitare per qualche breve istante, poi replicò con un’altra domanda:
    - …e quanto ai vostri agganci d’oltralpe, conte?-
    - La corona di Francia si dichiara pronta a dare il suo sostegno, purché le accuse siano suffragate da prove inequivocabili! -
    - Molto bene, allora. La consegna è prevista per domani sera, conte. Con un po’ d’astuzia e non poco sangue freddo riusciremo a far sì che possiate introdurvi a palazzo, per il resto….spetta a voi portare a termine la missione. Non posso che augurarvi buona fortuna e raccomandarvi di essere cauto, sono certo che non ignoriate i rischi ...-
    Il conte sorrise, d’un sorriso amaro e sarcastico:
    - Non v’è alcuna ragione di temere per la mia incolumità, sono perfettamente in grado di badare a me stesso …perseguo quest’obiettivo da così tanto tempo, che non lascerò che qualcuno mi ostacoli ancora – la sua voce era divenuta aspra – E’ a voi, piuttosto, che dovete pensare, siete certo di volere andare fino in fondo? A me non rimane più nulla da perdere, ma voi….? -
    - Vi ho già dato la mia parola, conte, e mi lusingo di mantenere sempre fede alla parola data. Mi sento onorato che abbiate riposto in me la vostra fiducia. Quando ho scelto di seguirvi nei vostri intenti, l’ho fatto con assoluta convinzione, sicuro di lottare per una giusta causa….sarò con voi fino alla morte, se necessario! –
    Il gentiluomo lo ascoltava in silenzio, contemplando il riflesso delle fiamme nel calice, con espressione assorta. Alla fine del discorso spostò uno sguardo penetrante su quello franco dell’altro commensale:
    - Non ho dunque sbagliato nel giudicarvi, vi confermate un uomo integerrimo e coraggioso…del resto ne avete dato prova in più di un’occasione! –
    L’ospite contrasse impercettibilmente una mano in un moto d’imbarazzo:
    - Non parliamone più, conte. Se i vostri sospetti sulla corona sono fondati…ci vorrà ben altro che il semplice coraggio per venirne a capo! –
    - I miei sospetti SONO fondati, amico mio. Il colloquio privato che ho inavvertitamente ascoltato anni fa, tra il marchese Salvati e Sua Maestà, non concedeva spazio a incertezze. La sfrenata sete di potere di Vittorio Amedeo lo ha spinto a macchiarsi, con la connivenza del suo medico personale, del più riprovevole dei crimini, il vecchio re è stato vittima di una perfidia infima e inammissibile! -
    - …E credete forse che il sovrano sia stato così stolto da lasciare le prove di quell’orrendo misfatto ? –
    - No, non lo credo affatto, non le prove di quello, quantomeno….ma non vi ho ancora detto tutto di quella conversazione, amico mio, vi ho taciuto una verità che racchiude la chiave di un enigma più complesso… la corona custodisce un segreto ben più inquietante…


    La sera seguente, al palazzo reale, gli oscuri complotti, cospirati nell’ombra di una locanda dei sobborghi di Torino, prendevano mirabilmente forma...
    In un impeccabile susseguirsi di azioni sapientemente coordinate con il suo complice, il conte d’Anvau scivolava furtivamente da una porta-finestra, all’interno della fastosa dimora.
    La sua sagoma mosse qualche passo, con circospezione, nell’oscurità della stanza. A giudicare dal silenzio che regnava tutt’intorno, il campo doveva essere momentaneamente libero. Soltanto le voci ovattate e lontane degli ufficiali che facevano il turno di guardia, lo raggiungevano ora, di tanto in tanto. Egli gettò un ultimo, rapido sguardo dalla finestra per accertarsi che tutto procedesse secondo i piani, quindi ritornò a concentrarsi sul suo obiettivo. I suoi pensieri erano una tempesta febbrile. Doveva agire in fretta, si disse. Le certezze di cui disponeva erano ben poche, non gli restava che agire d’intuito, come aveva sempre fatto, ed augurarsi che, anche quella volta, tutto sarebbe andato a buon fine. Su una cosa, almeno, non sembravano esservi dubbi: i documenti erano sicuramente custoditi in un nascondiglio al di fuori della portata degli sguardi indiscreti, assieme ad altro materiale scottante o strettamente riservato.
    Attraverso il buio denso, rotto appena dalla fievole luce lunare, i volti austeri dei ritratti a olio appesi intorno a lui, sembravano materializzarsi ed osservarlo con un ghigno di derisione. Poté distinguere a fatica i contorni degli oggetti: la stanza era delimitata, da un lato, da una pesante scaffalatura di mogano che ne occupava quasi interamente la parete. Decise subito che quello sarebbe stato il punto di partenza per le ricerche. Tese ancora l’orecchio, nulla. I suoi movimenti erano cauti e calibrati, sarebbe bastata una disattenzione, sia pure impercettibile, e i piani di anni sarebbero stati compromessi. Ispezionò a tastoni ogni centimetro della libreria, ma , per quanto circostanziata e scrupolosa, l’indagine non sembrò portare alla luce nessuna nicchia, né sporgenza rivelatrice. Non v’era apparentemente alcun indizio che potesse far pensare ad una doppia parete; i lievi colpetti assestati in vari punti, echeggiavano debolmente generando un suono pieno che non lasciava sperare nulla di buono.
    “ Maledizione” il conte strinse gli occhi in un moto di rabbia incontrollata “sento che deve essere qui, da qualche parte, se solo sapessi…”
    L’esclamazione rimase in sospeso, sotto la pressione leggera delle sue dita, un libro si spostò, producendo un rumore inequivocabile, e il pannello cedette docilmente in avanti, svelando uno spazio di dimensioni ridotte. Egli si sentì percorrere da una scarica di adrenalina, e un incommensurabile senso di trionfo lo invase. Accostò prudentemente il pannello e accese la torcia. Dopotutto non si era sbagliato, era stato più facile di quanto avesse previsto…



    Più di quindici giorni erano ormai trascorsi dal misterioso incontro al lago, quando a Rivombrosa giunse il momento di uno di quei trattenimenti campestri in cui gli ospiti, dopo aver trascorso una parte della giornata negli splendidi giardini, tra giochi e attività amene, possono piacevolmente consumare un pranzo servito su tavoli disposti all’aperto, o nella grande terrazza.
    Quell’evento non era che uno dei tanti che avrebbero preceduto, di lì a qualche settimana, le nozze tanto attese tra la contessa Ristori e il Principe Caracciolo.
    La giornata si era annunciata incantevole, il sole degli ultimi giorni aveva fatto fiorire il giardino animandolo di tinte vivide e scintillanti e l’acqua trasparente della cascata ricadeva spumeggiando dalle bocche di sinuosi pesci di pietra singolarmente attorti.
    Nella colorata cornice del parco, un’affaccendata padrona di casa dava gli ultimi coreografici ritocchi disponendo esotiche lanterne e cogliendo rami di glicine, per farne delle ghirlande da mettere al collo delle statue solenni che custodivano l’ingresso ai viali.
    I primi ospiti cominciarono ad affluire quando la pendola dorata, nella biblioteca, aveva da poco scoccato le tre. Al gruppo sparuto di amici che ancora frequentavano la tenuta si mescolarono i molti esponenti della nobiltà napoletana, giunti in quei giorni in Piemonte dietro esplicito invito del Principe di Magliano.
    Nell’abito di satin “soupir étouffé”, bordato di roselline di crespo, e l’incarnato delicatamente acceso dall’emozione, la contessa si accinse a fare impeccabilmente gli onori di casa, sotto lo sguardo d’approvazione della cognata Anna, che non cessava mai di stupirsi dinanzi alla grazia e alla maestria con cui Elisa mostrava di saper affrontare ogni nuova situazione.
    A dispetto di tanti affanni ed apprensioni, il pomeriggio si rivelò perfetto. Le conversazioni più svariate ravvivavano allegramente l’atmosfera palpitante di primavera e ovunque sbocciavano ombrellini di pizzo dalle mille sfumature pastello, perfettamente in armonia con quel magico scenario bucolico. Alla pigra indolenza delle dame, che preferivano oziare tra un sorbetto e un virtuosismo musicale, si contrapponeva l’instancabile vitalità degli ospiti sempre alla ricerca di nuove e stimolanti iniziative. Fu la giovane baronessa d’Angelo a richiamare l’attenzione dei presenti per chiedere che ci si svagasse con il gioco della mosca cieca, tanto in voga alla corte di Francia. La proposta fu subito accolta con entusiasmo e, dopo aver cercato un fazzoletto di seta che oscurasse la vista in maniera adeguata, si scelse una radura del parco sufficientemente ampia, e si stabilì che il giovane marchese d’Andrea di Pescopagano, dovesse essere il primo a condurre la caccia. Sotto gli occhi annoiati e sornioni dei gentiluomini troppo austeri per prendere parte a siffatto spreco d’energia, ebbe inizio il carosello.
    La piccola Agnese salterellava di qua e di là come una farfalla lanciando gridolini di gioia, seguita dall’occhio vigile di Amelia.
    Cristiano, appoggiato pigramente alla balaustra, osservava distrattamente le agili figure che saettavano nei leggiadri movimenti del gioco, si protendevano dispettosamente o si ritraevano gettandosi all’indietro, ascoltava riecheggiare le risate argentine delle dame; ma il centro del suo interesse si spostò ben presto su Elisa, impegnata, a breve distanza, in una poco attenta conversazione con un gentiluomo pingue e vanesio che sembrava ricolmarla di pomposissimi elogi.
    - Sono sicuro che non vi dispiacerà, barone, se vi rubo per un istante la futura principessa? – esclamò Cristiano, avendo tempestivamente colto l’espressione annoiata di Elisa
    - Ma certamente, Principe, servo vostro – rispose il gentiluomo congedandosi con un cerimonioso inchino.
    Elisa trasse un profondo sospiro di sollievo e ricompensò il suo liberatore con uno sguardo colmo di gratitudine:
    - Mi hai salvato da morte certa!- scherzò con occhi sfavillanti di malizia.
    - Non partecipi al gioco, amor mio?- la esortò amabilmente.
    - E tu? –
    - Lo farò, e così dovresti fare pure tu. Appartarsi dall’universale gaiezza non è indicato in un giorno come questo. Dopo tutto siamo noi l’oggetto di tanti festeggiamenti! –
    - Prenderemo parte al gioco, dunque. – disse in tono brioso lei, facendo il gesto di allontanarsi.
    Cristiano le prese prontamente una mano, trattenendola tra le sue, poi se la portò dolcemente alle labbra:
    - Lascia che mi perda per un attimo nell’incanto dei tuoi occhi…-
    Ella sorrise e si lasciò avvolgere da tanta tenerezza, sembrava finalmente aver dimenticato l’episodio inquietante che l’aveva ossessionata per giorni, ed ora ritrovava tutta la radiosità di una futura sposa.
    Il marchese d’Andrea aveva nel frattempo catturato e riconosciuto la sua preda, e Martino aveva preso il suo posto. La girandola proseguiva gaiamente, e lo scambio di un casto bacio venne proposto come nuovo pegno da offrire al cacciatore, se la preda fosse stata una donzella. Elisa e Cristiano si unirono al cerchio della moscacieca, lasciandosi piacevolmente contagiare dall’entusiasmo infantile.
    Il pomeriggio volgeva al crepuscolo, quando i valletti iniziarono a stendere le candide tovaglie di merletto sui tavoli, i colori delle vesti variopinte delle leggiadre figure impegnate nel gioco non scintillavano più sotto il sole, ma parevano dissolversi tra le luci più pacate della sera. Ed anche i movimenti, che prima erano stati più pronti, adesso sembravano tingersi della stanchezza di quel momento.
    Come la situazione esigeva, la cena si rivelò una combinazione perfetta di semplicità e raffinatezza, ottenendo il consenso e l’ammirazione universale. Il balenare delle lanterne, sapientemente disposte, carpiva suggestivi sfavillii, ora dalle posate ed i cristalli, ora dai preziosi e le vesti, ed a tratti, si avvertiva il profumo delicato del glicine e delle rose rampicanti.
    La contessa era immersa in un’appassionata conversazione con il barone di Tropea, che le narrava dell’ultima pièce di un giovane poeta parigino di cui lui aveva ascoltato la lettura nel salotto di Madame des Touches.
    - Un’opera affascinante e sovversiva che probabilmente non verrà mai rappresentata: una vicenda cruenta traboccante di passione per la libertà e per gli ideali !-
    - Sì, di tanto in tanto, giunge voce anche alla corte sabauda, delle nuove idee progressiste che sembrano ispirare i giovani artisti parigini…e devo ammettere che mi pare di trovare del giusto in quelle interessanti teorie, per quanto estreme, voi no, barone?-
    L’affermazione di Elisa sembrò sorprendere e disorientare l’anziano barone, il fatuo scambio di opinioni sembrava essere andato troppo in là, su un terreno malfermo. Non era aduso a discutere di ideologie politiche con le giovani esponenti dell’aristocrazia che, del resto, sembravano preferire di gran lunga argomenti frivoli e salottieri, conformandosi alle comuni aspettative.
    - Uhm…insulsi vaneggiamenti d’oltralpe, affascinanti in teoria, ma di fatto, estremamente pericolosi! – lasciò cadere il gentiluomo in tono incredulo e imbarazzato – Vi rendete sicuramente conto, cara contessa, di come le loro conseguenze rischierebbero di scardinare tutti i nostri privilegi nobiliari e…-
    L’intervento tempestivo di Antonio richiamò l’attenzione dei presenti, egli si era alzato tendendo un inequivocabile calice in mano:
    - …E adesso, mi sembra giunto il momento di proporre un brindisi…alla contessa Elisa e al Principe Caracciolo!-
    Si alzarono tutti all’unisono:
    - Alla contessa e al principe! –
    - Alla mia diletta cognata – aggiunse Anna visibilmente commossa – che ritrovi la felicità che merita!
    Elisa arrossì vivamente e, levando il bicchiere incontrò, lo sguardo beato di Cristiano che la fissava con tenerezza infinita, ricambiò il sorriso con la gola stretta. Forse, finalmente, il destino le riservava davvero un futuro roseo e ridente. Allora perché continuava a sentire quella fitta molesta al petto?
    Più tardi, quando anche gli ultimi invitati presero congedo, Elisa provò un profondo senso di sollievo. Gli appuntamenti mondani avevano il potere di sfibrarla e non amava sentirsi al centro di tante sollecite attenzioni. Incamminandosi stancamente lungo la galleria dei ritratti, gettò una rapida occhiata alla porta chiusa della stanza di Cristiano. Passò oltre e raggiunse la propria camera. Lasciarsi il mondo alle spalle e ritrovare un po’ di solitudine la fece sentire curiosamente bene. Guardò di sfuggita il campanellino dorato che indugiava sulla toletta e si disse che per quella sera avrebbe fatto volentieri a meno dei servigi di Bianca. Prese a sfilarsi i grappoli di roselline che completavano la sua delicata acconciatura, quando una bizzarra macchia di colore rosso acceso attirò la sua attenzione sul piccolo scrittoio di legno di rosa, posto davanti all’ampia vetrata.
    Si avvicinò per osservare meglio alla luce del candelabro: una visione inattesa la folgorò al centro della superficie di legno levigato. Le ginocchia le si piegarono e dovette tenersi saldamente alla spalliera della sedia per non cadere, deglutì a fatica. Le implicazioni racchiuse in ciò che calamitava il suo sguardo apparivano destabilizzanti quanto sconvolgenti.
    Fiori rossi uguali a quelli che sbocciavano in primavera nei pressi del capanno da caccia, erano graziosamente intrecciati alla collana di turchesi che aveva ricevuto in dono dalla defunta contessa, e accanto ad essi vi era… “il libro” protagonista di tanti intrighi.
    Una sola persona al mondo conosceva così bene l’intima storia di quegli oggetti, da farne un messaggio tanto apertamente esplicito…

    FINE DELLA PUNTATA


     
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  2. Kastania
     
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    CITAZIONE
    Fiori rossi uguali a quelli che sbocciavano in primavera nei pressi del capanno da caccia, erano graziosamente intrecciati alla collana di turchesi che aveva ricevuto in dono dalla defunta contessa, e accanto ad essi vi era… “il libro” protagonista di tanti intrighi.
    Una sola persona al mondo conosceva così bene l’intima storia di quegli oggetti, da farne un messaggio tanto apertamente esplicito…

    :sniff: :sigh: :sigh: :sigh:
     
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  3. Kastania
     
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    Dordogne, ma non aggiorni più? :( sigh!
     
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  4. roby347
     
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    Ti prego di aggiornare..!!Io sono una grande fan di Elisa di Rivombrosa!!Ora che hai scritto il primo episodio sono curiosa sugli altri!!
     
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  5. joey0930
     
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    Questo romanzo, scritto dalla bravissima Annalisa (dorgogne) è uno dei miei preferiti. E' stupendo
     
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    II
    PUNTATA



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    Elisa emerse bruscamente dal sogno nebuloso nel quale era sprofondata, quando la pendola, nella galleria del secondo piano, batteva cinque rintocchi. Anche l’ultimo tentativo di abbandonare gli assilli nell’oblio era dunque sfumato: il sonno tenacemente le sfuggiva.
    Lo sguardo di due penetranti occhi blu cobalto continuava a perseguitarla persino nelle tenebre della stanza, risvegliando prepotentemente un’ondata di emozioni impetuose, importune, sublimi.
    Cercò a tastoni sul guanciale, la misteriosa ghirlanda, come per accertarsi dell’attendibilità degli eventi; i fiori erano ancora lì, più reali che mai, e il rosso insolente trapassava l’oscurità, quasi a volersi imporre alla sua volontà vacillante. Se solo avesse potuto lasciarsi andare a quella dolcissima illusione…
    I ricordi cominciarono, allora, gradualmente a riaffiorare, e gli stessi quesiti tornarono a martellarle nella mente: “Come poteva” tornò a ripetersi per l’ennesima volta “Fabrizio essere in vita, se lei
    stessa, quattro anni prima, aveva stretto a sé un corpo su cui la morte aveva lasciato il suo sigillo di ghiaccio?”
    Quell’interrogativo insoluto ne poneva altri, ancora più inesplicabili: “Chi mai, se non Fabrizio, poteva averle voluto mandare quel messaggio? E a quale scopo?”
    Da qualunque prospettiva lo considerasse, quello strano episodio mancava di rigore logico e ogni sua riflessione finiva con il girare a vuoto, come un ingranaggio rotto.
    Scostò via le lenzuola in un moto d’impazienza e, sollevandosi dal letto, accese il candelabro d’ottone brunito, prima che l’oscurità ridestasse altri spettri.
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    Una sottile striscia fumigante si levò, tracciando magnetiche spire fino al soffitto, dove una lunga
    teoria di dame e cavalieri riprendeva vita, in un variopinto intreccio di gesti plastici e armoniosi. Il volto pallido, che lo specchio della toletta le restituiva, era quasi irriconoscibile.
    Elisa fece qualche passo incerto alla luce tremolante delle candele e, allontanando di poco le pesanti tende di velluto che celavano la finestra, dischiuse la vetrata: la notte cedeva gradualmente il passo
    al chiarore del giorno, e il vento che aveva soffiato intermittente per quasi tutta la notte recava un profumo lontano di pioggia, misto a fragranze di fiori.
    Aspirò a fondo e si disse che sarebbe stato salutare andare fuori a raccogliere i pensieri e le emozioni.
    Non sarebbe riuscita a rimanere un minuto in più in quella stanza, dove l’aria vischiosa rischiava di soffocarla.
    Alla luce perlacea dell’aurora, la visione della sua figura evanescente, che vagava nella bruma tra i viali del parco, si tingeva di chimeriche fantasie, avvolgendo la dimora di un pittoresco alone di mistero. Malauguratamente nessuno spettatore, presente al momento, era in grado di cogliere né, tanto meno, di apprezzare la liricità di quegli spunti preromantici, e la sua passeggiata solitaria suscitò ben altri pensieri nella mente fin troppo prosaica degli stallieri, dediti alle loro attività quotidiane. Le consuetudini della giovane contessa rischiavano di divenire, a dir poco, discutibili, negli ultimi tempi, pensò Titta scrollando il capo con aria di disapprovazione.
    Per quanto la sua intenzione iniziale fosse quella di passeggiare nelle vicinanze del castello, Elisa non riuscì a resistere all’impulso irrefrenabile di allontanarsi a cavallo. Non valse a nulla l’invito alla prudenza a cui la esortava il suo innato buon senso, si limitò a fare candidamente spallucce e veleggiò con risolutezza verso le scuderie. La sua indole da raminga era lontana dal cedere le armi dinanzi ad insidie e pericoli, e del resto, avrebbe preferito di gran lunga fronteggiare una temibile banda di masnadieri, piuttosto che rinunciare a quei preziosi attimi di libertà.
    Alla sua richiesta di sellare Fedro, lo staffiere non seppe trattenere un moto di sorpresa:
    - Fedro …signora?-
    - Sì, Fedro, grazie Titta…- ripeté con soave, ma incrollabile determinazione Elisa, ignorando deliberatamente la nota scandalizzata nella voce dell’altro.
    - Desiderate forse che vi accompagni? – insisté ancora l’uomo, tendendo l’orecchio al lontano bubbolio che sembrava annunciare un temporale.
    - No, ti ringrazio Titta, andrò da sola, come ho sempre fatto…- replicò la contessa, sottolineando le ultime parole con una sorta di quieta arroganza che non ammetteva repliche.
    Davanti a quel muro impenetrabile, Titta eseguì quanto gli veniva chiesto in silenzio, senza battere più ciglio. Non era certo stato assunto per commentare le stravaganze dei padroni, si trattasse pure della contessa Elisa, che egli conosceva da quando era solo una ragazzina, pensò guardando l’armoniosa figura di donna svanire al galoppo, oltre la curva del viale.
    Lontana dall’atmosfera opprimente che circondava la dimora, Elisa respirò profondamente l’aria fresca del mattino. La sensazione del vento sul viso e tra i capelli, le ridiede un’immediata sensazione di benessere. Non si era prefissa una meta precisa, il suo unico scopo era fuggire lontano da tutto e lasciarsi alle spalle, almeno per un po’, le ansie e i pensieri insidiosi della notte, forse persino una promessa che cominciava a starle troppo stretta.
    Nell’ampia radura erbosa che precedeva il bosco di pioppi, una pioggia tagliente la investì in pieno viso, mentre il fragore dei tuoni si approssimava minaccioso.
    Spronò il cavallo e prese il sentiero a monte, quello che costeggiava il bosco di castagni e conduceva al convento …

    In quello stesso momento, all’interno di una delle stanze private degli appartamenti reali, il re e il suo consigliere erano impegnati in una conversazione riservata. L’ora insolita del misterioso convegno, lasciava presagire che si trattasse di una questione tanto delicata quanto di ordine prioritario.
    Un fulmine squarciò le nubi, facendo riverberare di una luce improvvisa i loro volti contratti, il loro sguardo inquieto e tagliente.
    - Ancora nulla di nuovo, Sire, malgrado l’attenta accuratezza delle ricerche…! Chi ha frugato tra quelle carte, tuttavia, sembrava avere idee piuttosto chiare sull’obiettivo da perseguire. Una sezione in particolare, ha suscitato l’interesse della nostra fantomatica spia, e il disordine rivelatore di quelle carte, lascia pochi dubbi sulle sue mire … perché vedete Vostra Maestà, i documenti risalgono tutti…-
    Vittorio Amedeo levò la mano in un gesto eloquente e categorico. Il marchese lasciò la frase incompleta.
    - Pensavo di aver distrutto ogni prova anni fa – s’interpose il re - … e invece … lo spettro del passato torna a tenderci un agguato…- sembrava quasi assorto in una sua meditazione - …e, mi pare di aver compreso, ci muoviamo ancora nell’oscurità più totale….Non è emerso nulla sulla sua identità, non vi è nessuna idea di chi possa avere interesse a gettare del fango sulla corona, né di chi possa aver fatto scoperte tanto insidiose…non abbiamo che un misero pugno di mosche in mano!–
    La sua voce pericolosamente calma, celava, a tratti, un’energia per nulla rassicurante. Vittorio Amedeo spostò rabbiosamente il tagliacarte, di pregevole fattura, da un punto all’altro della grande scrivania non abbandonando mai , con lo sguardo, il marchese:
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    - Avete forse l’impudenza di dirmi che il nostro accorto infiltrato si è introdotto impunemente in una delle stanze, che avrebbe dovuto essere, tra le più sicure e sorvegliate del palazzo, e che voi non siete nemmeno in grado di portarmi la sua testa su un piatto d’argento? –
    Il tono del discorso era andato gradualmente crescendo d’intensità, fino all’incontenibile esplosione finale. Disorientare la vittima della sua collera, con un esordio condiscendente, era tipico della natura insidiosa del sovrano. Nessuno riusciva mai a cogliere l’esatta natura dei suoi pensieri, né a comprendere l’imminenza della minaccia.
    Gli occhi di Sua Maestà divampavano di collera, adesso:
    - Sappiate che vi ritengo personalmente responsabile di quanto è accaduto, marchese Montiglio! E’ il caso, forse, che vi rammenti qual è la vostra posizione riguardo a questa incresciosa faccenda? Il vostro prestigio, la vostra stessa…carica, dipendono soltanto dal successo delle vostre indagini, non dimenticatelo! – le sue mani esangui erano contratte intorno alla scrivania. Lasciò bruscamente la presa e si diede ad osservare, di là dai vetri, i soldati che si apprestavano al cambio della guardia – La prima cosa che farete uscendo da questa stanza, mio caro marchese, sarà quella di sostituire, degnamente, il branco di incompetenti, che si sono lasciati tanto ingenuamente ingannare, quella notte! -
    Fece una pausa ad effetto, fissando a lungo il suo interlocutore, gli occhi due affilatissime lame d’acciaio. Il marchese cercò di sostenerne lo sguardo e si allentò impercettibilmente la cravatta di pizzo.
    - In secondo luogo…- proseguì il sovrano, in un tono ingannevolmente cortese in cui vibrava una nota spietata – vi prodigherete personalmente affinché, il nostro illustre prigioniero, il marchese Salvati, confessi il nome del destinatario di ogni sua possibile indiscrezione, in merito ai suoi servigi…infine, farete in modo che non abbia più a condividere con NESSUNO le delicate informazioni in suo possesso. Spero di essere stato abbastanza esplicito, marchese…poiché non tollererò altre spiacevoli sorprese! -
    - Inequivocabilmente esplicito, Vostra Maestà.-
    - Bene andate pure, allora. E tenetemi al corrente. –
    L’altro accennò a un rapido inchino e fece per congedarsi, quando il sovrano, sul punto di agitare un campanello d’oro finemente cesellato, sembrò cambiare repentinamente idea:
    - Un’ultima cosa, marchese.- il consigliere si volse a guardarlo, in attesa - Non vi è alcun dubbio che ricordiate il nome del gentiluomo che, ben quattro anni fa, venne a conoscenza di preziose informazioni riservate, intercettando un colloquio privato…- l’altro annuì, senza esitazioni – Per quanto la certezza della dipartita del conte Ristori ci abbia …– le sue labbra s’incresparono lievemente, beffarde - rassicurato per anni, l’attuale stato delle cose sembra cambiare le carte in tavola…potrebbe, infatti esserci una remota, ma non trascurabile, possibilità che la nostra cara “contessa” custodisca le ultime confessioni del marito…-
    Il marchese Montiglio corrugò impercettibilmente la fronte:
    - Ebbene, Vostra Maestà…? –
    - Ebbene, mio caro marchese, ritengo che la casata Ristori sia stata tenuta, lontana dalla vita di corte, troppo a lungo…e voi sapete quanto io sia incline alla magnanimità! –
    Il perfido sorriso d’intesa, che si dipinse sul volto del sovrano, fu sufficiente a fugare ogni dubbio sulla natura delle sue trame.
     
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    Situato su un’altura nei pressi del lago e gradevolmente circondato da querce ed olmi, il “Convento dell’Addolorata” costituiva un notevole esempio di architettura trecentesca. Il suo complesso solido e austero di strutture in pietra grigia, costruite su vari livelli, si raccoglieva simmetricamente intorno ad un suggestivo chiostro centrale di forma rettangolare. Conformemente alla maggior parte degli edifici religiosi di una certa epoca storica, la sua posizione rialzata sembrava suggerire ai fedeli, che lo osservavano da una certa prospettiva, uno slancio spirituale verso il cielo. Adesso tuttavia, svettante su uno sfondo d’ombre incombenti che sembrava soffocarne l’aerea spinta, il convento aveva, piuttosto, un aspetto lugubre e sinistro.
    Assorta com’era nei suoi pensieri e nelle sue incertezze, Elisa si ritrovò nei pressi del convento quasi all’improvviso. Tirò allora bruscamente le redini e si inerpicò sul sentiero poco agevole che tagliava su per la scarpata.
    Le tinte dei prati e dei declivi, che poco prima avevano scintillato brevemente intorno a lei, sotto i bagliori di un sole incerto, sembrarono adesso tornare a liquefarsi nel grigiore incalzante di nuvole grevi. Eppure, nessun altro paesaggio avrebbe potuto racchiudere in modo migliore il suo animo in tempesta, ogni sua irragionevole e inquieta emozione pareva trovare una risonanza perfetta nel tumulto crescente degli elementi.
    Quando la madre Badessa venne ad annunciarle che la contessa Ristori desiderava essere ricevuta, Margherita sollevò gli occhi dal breviario, aperto sul leggio di mogano, in un rapido moto di sorpresa: “Che cosa mai poteva avere indotto Elisa a recarle visita con quel tempo così poco propizio e a quell’ora insolita?” – si chiese pensosamente, incamminandosi a passo spedito verso la saletta che affiancava la piccola cappella.
    Appena udì entrare l’amica, Elisa si volse e si allontanò dalla finestra che dava sul chiostro, dove era rimasta a lungo immobile e assorta, ad osservare le foglie degli alberi e dei rampicanti he rabbrividivano sotto le inquiete raffiche di vento. L’austera sobrietà dell’abito della religiosa, che soltanto la nota bianca del colletto e del copricapo addolciva, metteva in risalto tutta la spirituale purezza del suo volto soave e luminoso.
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    Con un rapido sguardo, Margherita colse il singolare turbamento che traspariva dai grandi occhi ansiosi di Elisa, dai suoi gesti spezzati e incerti. La grande empatia che c’era sempre stata tra le due amiche, aveva instaurato tra loro un clima d’intimità che andava ben oltre le parole. Margherita le si fece incontro di slancio e le strinse le mani con calore, tacendo delle perplessità che le affioravano alla mente:
    - E’ una gioia vederti, amica mia! – esclamò.
    - Vorrai perdonarmi per l’ora poco opportuna…- disse Elisa con un fremito d’imbarazzo - ho forse interrotto le tue meditazioni?-
    - Sei sempre la benvenuta, mia cara, le mie meditazioni possono attendere…- il suo tono era cordiale e rassicurante- d’altronde se sei qui..dovrà pur esservi una buona ragione…! - tacque in attesa che il suo implicito quesito ottenesse risposta.
    Dal canto suo, Elisa sembrava voler prendere ancora tempo, alla ricerca delle parole più adeguate. Tuttavia ogni nuovo tentativo di dare coerenza ai suoi pensieri risultò vano:
    - A volte ho quasi la sensazione di perdere il senno..Margherita! – lasciò cadere infine, d’un fiato.
    Quindi volse uno sguardo pensoso e sgomento di là dai vetri, cercando di trarre un senso di quiete e di armonia dalla vista delle corolle multicolori che ornavano le piccole aiuole ben curate, che disegnavano un candido merletto sul rampicante intorno al piccolo pozzo di pietra. La singolare sensazione che le strutture precarie del suo mondo si incrinassero fino a crollare, sembrava farsi sempre più intensa in lei. Abbandonò la fronte contro il vetro freddo della finestra e trasse un profondo sospiro. Quando Fabrizio era scomparso dalla sua vita, quattro anni addietro, le era sembrato che il suo universo si fosse d’un tratto oscurato e per lunghissimo tempo aveva pensato insistentemente alla propria morte come alla sola via d’uscita. E adesso, riaprire quella ferita mai del tutto rimarginata, con il pungolo di quel nuovo inconfessabile anelito che le dava un dolore sordo al petto, era più di quanto potesse tollerare. Margherita sgranò impercettibilmente gli occhi:
    - Così mi metti in allarme, Elisa!- esclamò avvicinandosi a lei e poggiandole dolcemente le mani sulle spalle - Dimmi dunque, cosa può mai essere accaduto da indurti a una frase così estrema?-
    - Tu credi nei fantasmi, Margherita? – tagliò corto la giovane donna, gli splendidi occhi verdi fissi sulla religiosa con una sorta d’implacabile ed esasperata interrogazione.
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    Quella domanda, piuttosto che chiarire il senso della prima affermazione finì per gettare l’amica nella più completa confusione.
    - Fantasmi? Dio mio, no….razionalmente no, Elisa. Te lo dissi un tempo, ricordi? E adesso come allora sono ancora convinta che ci sia, quasi sempre, una spiegazione logica a quello che crediamo avvolto nel mistero, o frutto dei nostri vaneggiamenti. Nondimeno, una donna di chiesa come me, sa bene che esiste un terreno insondabile, un limite oltre il quale la ragione non può avventurarsi e davanti a cui la logica deve cedere le armi, una porta che solo l’abbandono nella fede può consentire di oltrepassare…- concluse in un tono quieto e sereno che sembrava riportare ogni cosa nella giusta prospettiva, smorzando la tensione che aleggiava nell’aria.
    L’incontrollabile, dolente desiderio di Elisa di confidarsi con l’amica e attingere equilibrio dalla sua confortante saggezza trovò un impulso decisivo in quelle parole. Le sue frasi sconnesse e confuse diedero così forma, lentamente, agli strani eventi che l’avevano gettata in quello stato di totale confusione. Margherita l’ascoltò con calma, senza dare mostra di un particolare turbamento. La sua mente sagace aveva già individuato, al di là di quelle sconcertanti rivelazioni, il punto nodale della questione.
    - Dev’essere arduo per te conciliare questo nuovo sospetto con la precaria impalcatura di sentimenti ed emozioni che hai accuratamente eretto e tenuto a bada per anni…-
    Elisa sollevò su di lei due occhi stupiti, quasi increduli:
    - Cosa intendi dire..?- chiese soltanto ansante, colta dalla curiosa sensazione di trovarsi con le spalle al muro. Margherita attese pazientemente qualche minuto, in silenzio, e quel silenzio aveva un nonsoché di inspiegabilmente perentorio.
    - Elisa, tu ami Cristiano?- la domanda andò a segno, implacabile.
    - Mi confondi, Margherita. Adesso …non è semplice rispondere a questa domanda..- rispose infine la giovane donna, torcendosi nervosamente le mani.
    - Eppure dovrebbe esserlo, – continuò inesorabilmente Margherita – dopo tutto ti sto solo chiedendo quanto è profondo il sentimento che nutri per l’uomo che ti condurrà all’altare! – tacque ancora, in attesa.
    - …Cristiano ha un animo gentile e generoso, mi è stato accanto nei momenti più bui della mia vita…come potrei non amarlo?- aveva pronunciato le ultime parole con il tono esitante di chi voglia pervicacemente convincersi della loro fondatezza. Pure, l’inespressività della sua voce appariva bizzarramente rivelatrice.
    - Sto interrogando il tuo cuore, Elisa, non la tua ragione! –
    - Il mio cuore…? - Elisa trattenne il respiro e si voltò incapace di reggere lo sguardo diretto dell’amica, non era donna da volersi ingannare; ma quella realtà andava facendosi di attimo in attimo più insostenibile. - Ha smesso di battere anni fa, Margherita…credevo di essere rinata dalle macerie di quella tragedia- mormorò a voce bassa, parlando quasi a se stessa - invece mi rendo conto che solo adesso i suoi battiti hanno ripreso il loro ritmo incerto e doloroso, dietro una speranza che, tuttavia, resta illusoria …! - terminò in un singhiozzo convulso.
    - E’ così …Elisa ! – la religiosa protese la mano verso di lei carezzandole lievemente il braccio – Credo che tu abbia già trovato dentro di te la risposta che cercavi… –
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    Elisa fissò in quelli dell’amica due occhi velati dal turbamento, si sentì mancare il respiro. Margherita proseguì senza attendere che l’altra replicasse. Le sue parole erano dolci, ma penetravano l’anima come lame affilate
    - Adesso sta a te prendere la giusta decisione per il tuo futuro…per quanto faticoso possa essere continuare a guardarti dentro senza mistificazioni. –
    Elisa respinse con un gesto nervoso i capelli che le sfuggivano dal nodo dietro la nuca e chiese in un soffio vibrante di speranza:
    - Allora tu ritieni possibile che Fabrizio sia ancora vivo?-
    - Chi può dirlo?-il suo sorriso era incoraggiante e insinuante a un tempo – Mi hai insegnato a caro prezzo a non diffidare delle tue intuizioni, per quanto irragionevoli possano apparire. Se solo ti avessi dato ascolto anni fa… chissà quale svolta avrebbe preso adesso la nostra vita, la tua vita.- tacque un istante -… Quanto al resto ho piena fiducia nel tuo buon senso.-
    La contessa si strinse alla religiosa in un ringraziamento silenzioso e prolungato, quindi prese definitivamente congedo. Il pensiero della tempesta che si sarebbe scatenata di lì a poco non sembrava nemmeno sfiorarla, né parve dare ascolto alle insistenze dell’amica che la invitava a trattenersi…




    ******



    Elisa non avrebbe saputo dire per quale inesplicabile ragione si fosse ritrovata, in capo a pochi minuti, davanti al capanno da caccia, lo stesso capanno “fuori dal mondo” che continuava a custodire gelosamente i momenti più magici del suo passato.
    Il suo sguardo indugiò, con un nodo alla gola, sui contorni consumati di quel rifugio a cui non era riuscita più a tornare dalla morte di Fabrizio, e ne ebbe un tuffo al cuore. I fiori rossi rampicanti spiccavano, sulle pareti di pietra, come un interrogativo senza risposta.
    Una saetta lacerò lo spesso sipario di nubi che incombevano su di lei; Elisa spinse indietro la porta cigolante, facendosi coraggio, e rimase, per alcuni interminabili istanti sulla soglia, irrigidita dall’emozione. Vi era qualcosa di sacro in quel luogo alla deriva del mondo, una presenza quasi palpabile andava imponendosi ai suoi sensi esasperati dai tormenti della veglia, trascinandola in un vortice senza uscita, evocando momenti, il cui solo ricordo le procurava un dolore fisico insopportabile.
    Si riscosse a fatica ed ebbe un fremito. La brace era spenta - chissà da quanto- nel camino, ma poco distante, in una nicchia della parete, era accatastata della legna che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere ben secca. Non sarebbe stato difficile far divampare un bel fuoco.
    Presto, infatti, vivide fiamme cominciarono a levarsi crepitando, dai ceppi fumanti, e a scaldare il piccolo ambiente, attraversato, di tanto in tanto, da qualche spiffero importuno.
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    La nostra eroina si raggomitolò nel mantello umido, tendendo le mani infreddolite alle fiamme, finché un piacevole senso di sollievo non ebbe pervaso tutto il suo corpo.
    Si volse appena: il grande letto era ancora lì, al centro della stanza, nello stesso punto in cui Fabrizio lo aveva fatto sistemare nel periodo del colera, le lenzuola scomposte gettate all’indietro, come se qualcuno vi avesse appena dormito. Tutto suggeriva la singolare sensazione che il tempo avesse smesso di scorrere, all’interno del capanno, quasi fosse rimasto sospeso in una dimensione irreale. In fondo era sempre stata quella la sua magia, lei e Fabrizio lo avevano compreso sin dal primo istante in cui ne avevano varcato la soglia, insieme. A quella debolezza si ammonì severamente, dandosi della sciocca, cominciava davvero a ragionare come se la nuova speranza non fosse che un assurdo parto della fantasia!
    Il suo sogno impossibile che, solo con la complicità di quelle mura, aveva il diritto di librarsi e sconfinare nella veglia, rischiava di sconvolgere ancora una volta la sua vita, distruggendo un equilibrio che aveva ritrovato a fatica.
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    Un refolo più violento degli altri fece stridere i vetri, recando il gemito del vento e la sferza della pioggia. Ella stiracchiò le membra verso le fiamme, socchiudendo gli occhi ai rimpianti e, inavvertitamente, il suo piede urtò un oggetto sferico, che andò a sbattere, rotolando, contro la parete di fronte.
    Un’ampolla trasparente, dalla forma esotica, oscillava ora debolmente sotto il suo sguardo incuriosito. Sul fondo del recipiente era attaccata una sostanza scura e raggrumata. Elisa se lo portò alle narici, riuscendo a percepirne soltanto un odore vagamente dolciastro.
    Il tentativo di ricostruire puntigliosamente gli accadimenti di qualche anno prima e di riandare alle origini di quel ritrovamento, la condusse solo ad un altro crocevia di strade aperte. L’oggetto avrebbe potuto risalire al periodo del colera, pure non le sembrava che lo sciroppo somministrato a Martino avesse quell’aspetto. D’altronde non aveva affatto l’aria di un contenitore da sciroppo, sembrava piuttosto l’ampolla per un “elisir d’amore”, come quelli che la sua amica Celeste amava preparare per i suoi oscuri sortilegi.
    Continuò ad arrovellarsi il cervello: ovviamente chiunque avrebbe potuto entrare nel capanno e lasciarvelo, non era che un banale contenitore sferico con dentro del liquido addensato!
    Allora perché non riusciva a staccarne i pensieri, come se le sorti della sua stessa esistenza dipendessero soltanto dallo scoprire la natura del liquido?
    Uno strano presentimento le suggeriva che, dopo gli strani eventi della notte precedente, nulla poteva essere lasciato al caso, sarebbe stato di gran lunga più saggio sottoporre il problema all’attenzione dell’unica persona in grado di darle un risposta…
     
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  8. Andjelija Nenic-Anka
     
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    Update more chapters about this story,because it's the best,extra and the great story that I was reading about it,and I am also starting to love and to like reading to this story. So can you please write more chapters,because I want to know what happens in the next chapters about it. THANKS SO MUCH FOR WRITTEN TO THIS STORY,thanks so much about it.★★★☆☆☆♥♥♥♡♡♡&&&£££%%%€€€$$$@@@₩₩₩
     
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    La cosa fanfica è buona, ma i film sono migliori: https://cineblog01.gdn/
    Ma i migliori film che fanno apparire queste fanfiche
     
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