Grandi Storie d'Amore: libri, telefilm, film, musical... e tanto altro!

Posts written by dordogne

  1. .
    Situato su un’altura nei pressi del lago e gradevolmente circondato da querce ed olmi, il “Convento dell’Addolorata” costituiva un notevole esempio di architettura trecentesca. Il suo complesso solido e austero di strutture in pietra grigia, costruite su vari livelli, si raccoglieva simmetricamente intorno ad un suggestivo chiostro centrale di forma rettangolare. Conformemente alla maggior parte degli edifici religiosi di una certa epoca storica, la sua posizione rialzata sembrava suggerire ai fedeli, che lo osservavano da una certa prospettiva, uno slancio spirituale verso il cielo. Adesso tuttavia, svettante su uno sfondo d’ombre incombenti che sembrava soffocarne l’aerea spinta, il convento aveva, piuttosto, un aspetto lugubre e sinistro.
    Assorta com’era nei suoi pensieri e nelle sue incertezze, Elisa si ritrovò nei pressi del convento quasi all’improvviso. Tirò allora bruscamente le redini e si inerpicò sul sentiero poco agevole che tagliava su per la scarpata.
    Le tinte dei prati e dei declivi, che poco prima avevano scintillato brevemente intorno a lei, sotto i bagliori di un sole incerto, sembrarono adesso tornare a liquefarsi nel grigiore incalzante di nuvole grevi. Eppure, nessun altro paesaggio avrebbe potuto racchiudere in modo migliore il suo animo in tempesta, ogni sua irragionevole e inquieta emozione pareva trovare una risonanza perfetta nel tumulto crescente degli elementi.
    Quando la madre Badessa venne ad annunciarle che la contessa Ristori desiderava essere ricevuta, Margherita sollevò gli occhi dal breviario, aperto sul leggio di mogano, in un rapido moto di sorpresa: “Che cosa mai poteva avere indotto Elisa a recarle visita con quel tempo così poco propizio e a quell’ora insolita?” – si chiese pensosamente, incamminandosi a passo spedito verso la saletta che affiancava la piccola cappella.
    Appena udì entrare l’amica, Elisa si volse e si allontanò dalla finestra che dava sul chiostro, dove era rimasta a lungo immobile e assorta, ad osservare le foglie degli alberi e dei rampicanti he rabbrividivano sotto le inquiete raffiche di vento. L’austera sobrietà dell’abito della religiosa, che soltanto la nota bianca del colletto e del copricapo addolciva, metteva in risalto tutta la spirituale purezza del suo volto soave e luminoso.
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    Con un rapido sguardo, Margherita colse il singolare turbamento che traspariva dai grandi occhi ansiosi di Elisa, dai suoi gesti spezzati e incerti. La grande empatia che c’era sempre stata tra le due amiche, aveva instaurato tra loro un clima d’intimità che andava ben oltre le parole. Margherita le si fece incontro di slancio e le strinse le mani con calore, tacendo delle perplessità che le affioravano alla mente:
    - E’ una gioia vederti, amica mia! – esclamò.
    - Vorrai perdonarmi per l’ora poco opportuna…- disse Elisa con un fremito d’imbarazzo - ho forse interrotto le tue meditazioni?-
    - Sei sempre la benvenuta, mia cara, le mie meditazioni possono attendere…- il suo tono era cordiale e rassicurante- d’altronde se sei qui..dovrà pur esservi una buona ragione…! - tacque in attesa che il suo implicito quesito ottenesse risposta.
    Dal canto suo, Elisa sembrava voler prendere ancora tempo, alla ricerca delle parole più adeguate. Tuttavia ogni nuovo tentativo di dare coerenza ai suoi pensieri risultò vano:
    - A volte ho quasi la sensazione di perdere il senno..Margherita! – lasciò cadere infine, d’un fiato.
    Quindi volse uno sguardo pensoso e sgomento di là dai vetri, cercando di trarre un senso di quiete e di armonia dalla vista delle corolle multicolori che ornavano le piccole aiuole ben curate, che disegnavano un candido merletto sul rampicante intorno al piccolo pozzo di pietra. La singolare sensazione che le strutture precarie del suo mondo si incrinassero fino a crollare, sembrava farsi sempre più intensa in lei. Abbandonò la fronte contro il vetro freddo della finestra e trasse un profondo sospiro. Quando Fabrizio era scomparso dalla sua vita, quattro anni addietro, le era sembrato che il suo universo si fosse d’un tratto oscurato e per lunghissimo tempo aveva pensato insistentemente alla propria morte come alla sola via d’uscita. E adesso, riaprire quella ferita mai del tutto rimarginata, con il pungolo di quel nuovo inconfessabile anelito che le dava un dolore sordo al petto, era più di quanto potesse tollerare. Margherita sgranò impercettibilmente gli occhi:
    - Così mi metti in allarme, Elisa!- esclamò avvicinandosi a lei e poggiandole dolcemente le mani sulle spalle - Dimmi dunque, cosa può mai essere accaduto da indurti a una frase così estrema?-
    - Tu credi nei fantasmi, Margherita? – tagliò corto la giovane donna, gli splendidi occhi verdi fissi sulla religiosa con una sorta d’implacabile ed esasperata interrogazione.
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    Quella domanda, piuttosto che chiarire il senso della prima affermazione finì per gettare l’amica nella più completa confusione.
    - Fantasmi? Dio mio, no….razionalmente no, Elisa. Te lo dissi un tempo, ricordi? E adesso come allora sono ancora convinta che ci sia, quasi sempre, una spiegazione logica a quello che crediamo avvolto nel mistero, o frutto dei nostri vaneggiamenti. Nondimeno, una donna di chiesa come me, sa bene che esiste un terreno insondabile, un limite oltre il quale la ragione non può avventurarsi e davanti a cui la logica deve cedere le armi, una porta che solo l’abbandono nella fede può consentire di oltrepassare…- concluse in un tono quieto e sereno che sembrava riportare ogni cosa nella giusta prospettiva, smorzando la tensione che aleggiava nell’aria.
    L’incontrollabile, dolente desiderio di Elisa di confidarsi con l’amica e attingere equilibrio dalla sua confortante saggezza trovò un impulso decisivo in quelle parole. Le sue frasi sconnesse e confuse diedero così forma, lentamente, agli strani eventi che l’avevano gettata in quello stato di totale confusione. Margherita l’ascoltò con calma, senza dare mostra di un particolare turbamento. La sua mente sagace aveva già individuato, al di là di quelle sconcertanti rivelazioni, il punto nodale della questione.
    - Dev’essere arduo per te conciliare questo nuovo sospetto con la precaria impalcatura di sentimenti ed emozioni che hai accuratamente eretto e tenuto a bada per anni…-
    Elisa sollevò su di lei due occhi stupiti, quasi increduli:
    - Cosa intendi dire..?- chiese soltanto ansante, colta dalla curiosa sensazione di trovarsi con le spalle al muro. Margherita attese pazientemente qualche minuto, in silenzio, e quel silenzio aveva un nonsoché di inspiegabilmente perentorio.
    - Elisa, tu ami Cristiano?- la domanda andò a segno, implacabile.
    - Mi confondi, Margherita. Adesso …non è semplice rispondere a questa domanda..- rispose infine la giovane donna, torcendosi nervosamente le mani.
    - Eppure dovrebbe esserlo, – continuò inesorabilmente Margherita – dopo tutto ti sto solo chiedendo quanto è profondo il sentimento che nutri per l’uomo che ti condurrà all’altare! – tacque ancora, in attesa.
    - …Cristiano ha un animo gentile e generoso, mi è stato accanto nei momenti più bui della mia vita…come potrei non amarlo?- aveva pronunciato le ultime parole con il tono esitante di chi voglia pervicacemente convincersi della loro fondatezza. Pure, l’inespressività della sua voce appariva bizzarramente rivelatrice.
    - Sto interrogando il tuo cuore, Elisa, non la tua ragione! –
    - Il mio cuore…? - Elisa trattenne il respiro e si voltò incapace di reggere lo sguardo diretto dell’amica, non era donna da volersi ingannare; ma quella realtà andava facendosi di attimo in attimo più insostenibile. - Ha smesso di battere anni fa, Margherita…credevo di essere rinata dalle macerie di quella tragedia- mormorò a voce bassa, parlando quasi a se stessa - invece mi rendo conto che solo adesso i suoi battiti hanno ripreso il loro ritmo incerto e doloroso, dietro una speranza che, tuttavia, resta illusoria …! - terminò in un singhiozzo convulso.
    - E’ così …Elisa ! – la religiosa protese la mano verso di lei carezzandole lievemente il braccio – Credo che tu abbia già trovato dentro di te la risposta che cercavi… –
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    Elisa fissò in quelli dell’amica due occhi velati dal turbamento, si sentì mancare il respiro. Margherita proseguì senza attendere che l’altra replicasse. Le sue parole erano dolci, ma penetravano l’anima come lame affilate
    - Adesso sta a te prendere la giusta decisione per il tuo futuro…per quanto faticoso possa essere continuare a guardarti dentro senza mistificazioni. –
    Elisa respinse con un gesto nervoso i capelli che le sfuggivano dal nodo dietro la nuca e chiese in un soffio vibrante di speranza:
    - Allora tu ritieni possibile che Fabrizio sia ancora vivo?-
    - Chi può dirlo?-il suo sorriso era incoraggiante e insinuante a un tempo – Mi hai insegnato a caro prezzo a non diffidare delle tue intuizioni, per quanto irragionevoli possano apparire. Se solo ti avessi dato ascolto anni fa… chissà quale svolta avrebbe preso adesso la nostra vita, la tua vita.- tacque un istante -… Quanto al resto ho piena fiducia nel tuo buon senso.-
    La contessa si strinse alla religiosa in un ringraziamento silenzioso e prolungato, quindi prese definitivamente congedo. Il pensiero della tempesta che si sarebbe scatenata di lì a poco non sembrava nemmeno sfiorarla, né parve dare ascolto alle insistenze dell’amica che la invitava a trattenersi…




    ******



    Elisa non avrebbe saputo dire per quale inesplicabile ragione si fosse ritrovata, in capo a pochi minuti, davanti al capanno da caccia, lo stesso capanno “fuori dal mondo” che continuava a custodire gelosamente i momenti più magici del suo passato.
    Il suo sguardo indugiò, con un nodo alla gola, sui contorni consumati di quel rifugio a cui non era riuscita più a tornare dalla morte di Fabrizio, e ne ebbe un tuffo al cuore. I fiori rossi rampicanti spiccavano, sulle pareti di pietra, come un interrogativo senza risposta.
    Una saetta lacerò lo spesso sipario di nubi che incombevano su di lei; Elisa spinse indietro la porta cigolante, facendosi coraggio, e rimase, per alcuni interminabili istanti sulla soglia, irrigidita dall’emozione. Vi era qualcosa di sacro in quel luogo alla deriva del mondo, una presenza quasi palpabile andava imponendosi ai suoi sensi esasperati dai tormenti della veglia, trascinandola in un vortice senza uscita, evocando momenti, il cui solo ricordo le procurava un dolore fisico insopportabile.
    Si riscosse a fatica ed ebbe un fremito. La brace era spenta - chissà da quanto- nel camino, ma poco distante, in una nicchia della parete, era accatastata della legna che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere ben secca. Non sarebbe stato difficile far divampare un bel fuoco.
    Presto, infatti, vivide fiamme cominciarono a levarsi crepitando, dai ceppi fumanti, e a scaldare il piccolo ambiente, attraversato, di tanto in tanto, da qualche spiffero importuno.
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    La nostra eroina si raggomitolò nel mantello umido, tendendo le mani infreddolite alle fiamme, finché un piacevole senso di sollievo non ebbe pervaso tutto il suo corpo.
    Si volse appena: il grande letto era ancora lì, al centro della stanza, nello stesso punto in cui Fabrizio lo aveva fatto sistemare nel periodo del colera, le lenzuola scomposte gettate all’indietro, come se qualcuno vi avesse appena dormito. Tutto suggeriva la singolare sensazione che il tempo avesse smesso di scorrere, all’interno del capanno, quasi fosse rimasto sospeso in una dimensione irreale. In fondo era sempre stata quella la sua magia, lei e Fabrizio lo avevano compreso sin dal primo istante in cui ne avevano varcato la soglia, insieme. A quella debolezza si ammonì severamente, dandosi della sciocca, cominciava davvero a ragionare come se la nuova speranza non fosse che un assurdo parto della fantasia!
    Il suo sogno impossibile che, solo con la complicità di quelle mura, aveva il diritto di librarsi e sconfinare nella veglia, rischiava di sconvolgere ancora una volta la sua vita, distruggendo un equilibrio che aveva ritrovato a fatica.
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    Un refolo più violento degli altri fece stridere i vetri, recando il gemito del vento e la sferza della pioggia. Ella stiracchiò le membra verso le fiamme, socchiudendo gli occhi ai rimpianti e, inavvertitamente, il suo piede urtò un oggetto sferico, che andò a sbattere, rotolando, contro la parete di fronte.
    Un’ampolla trasparente, dalla forma esotica, oscillava ora debolmente sotto il suo sguardo incuriosito. Sul fondo del recipiente era attaccata una sostanza scura e raggrumata. Elisa se lo portò alle narici, riuscendo a percepirne soltanto un odore vagamente dolciastro.
    Il tentativo di ricostruire puntigliosamente gli accadimenti di qualche anno prima e di riandare alle origini di quel ritrovamento, la condusse solo ad un altro crocevia di strade aperte. L’oggetto avrebbe potuto risalire al periodo del colera, pure non le sembrava che lo sciroppo somministrato a Martino avesse quell’aspetto. D’altronde non aveva affatto l’aria di un contenitore da sciroppo, sembrava piuttosto l’ampolla per un “elisir d’amore”, come quelli che la sua amica Celeste amava preparare per i suoi oscuri sortilegi.
    Continuò ad arrovellarsi il cervello: ovviamente chiunque avrebbe potuto entrare nel capanno e lasciarvelo, non era che un banale contenitore sferico con dentro del liquido addensato!
    Allora perché non riusciva a staccarne i pensieri, come se le sorti della sua stessa esistenza dipendessero soltanto dallo scoprire la natura del liquido?
    Uno strano presentimento le suggeriva che, dopo gli strani eventi della notte precedente, nulla poteva essere lasciato al caso, sarebbe stato di gran lunga più saggio sottoporre il problema all’attenzione dell’unica persona in grado di darle un risposta…
  2. .
    II
    PUNTATA



    ******


    Elisa emerse bruscamente dal sogno nebuloso nel quale era sprofondata, quando la pendola, nella galleria del secondo piano, batteva cinque rintocchi. Anche l’ultimo tentativo di abbandonare gli assilli nell’oblio era dunque sfumato: il sonno tenacemente le sfuggiva.
    Lo sguardo di due penetranti occhi blu cobalto continuava a perseguitarla persino nelle tenebre della stanza, risvegliando prepotentemente un’ondata di emozioni impetuose, importune, sublimi.
    Cercò a tastoni sul guanciale, la misteriosa ghirlanda, come per accertarsi dell’attendibilità degli eventi; i fiori erano ancora lì, più reali che mai, e il rosso insolente trapassava l’oscurità, quasi a volersi imporre alla sua volontà vacillante. Se solo avesse potuto lasciarsi andare a quella dolcissima illusione…
    I ricordi cominciarono, allora, gradualmente a riaffiorare, e gli stessi quesiti tornarono a martellarle nella mente: “Come poteva” tornò a ripetersi per l’ennesima volta “Fabrizio essere in vita, se lei
    stessa, quattro anni prima, aveva stretto a sé un corpo su cui la morte aveva lasciato il suo sigillo di ghiaccio?”
    Quell’interrogativo insoluto ne poneva altri, ancora più inesplicabili: “Chi mai, se non Fabrizio, poteva averle voluto mandare quel messaggio? E a quale scopo?”
    Da qualunque prospettiva lo considerasse, quello strano episodio mancava di rigore logico e ogni sua riflessione finiva con il girare a vuoto, come un ingranaggio rotto.
    Scostò via le lenzuola in un moto d’impazienza e, sollevandosi dal letto, accese il candelabro d’ottone brunito, prima che l’oscurità ridestasse altri spettri.
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    Una sottile striscia fumigante si levò, tracciando magnetiche spire fino al soffitto, dove una lunga
    teoria di dame e cavalieri riprendeva vita, in un variopinto intreccio di gesti plastici e armoniosi. Il volto pallido, che lo specchio della toletta le restituiva, era quasi irriconoscibile.
    Elisa fece qualche passo incerto alla luce tremolante delle candele e, allontanando di poco le pesanti tende di velluto che celavano la finestra, dischiuse la vetrata: la notte cedeva gradualmente il passo
    al chiarore del giorno, e il vento che aveva soffiato intermittente per quasi tutta la notte recava un profumo lontano di pioggia, misto a fragranze di fiori.
    Aspirò a fondo e si disse che sarebbe stato salutare andare fuori a raccogliere i pensieri e le emozioni.
    Non sarebbe riuscita a rimanere un minuto in più in quella stanza, dove l’aria vischiosa rischiava di soffocarla.
    Alla luce perlacea dell’aurora, la visione della sua figura evanescente, che vagava nella bruma tra i viali del parco, si tingeva di chimeriche fantasie, avvolgendo la dimora di un pittoresco alone di mistero. Malauguratamente nessuno spettatore, presente al momento, era in grado di cogliere né, tanto meno, di apprezzare la liricità di quegli spunti preromantici, e la sua passeggiata solitaria suscitò ben altri pensieri nella mente fin troppo prosaica degli stallieri, dediti alle loro attività quotidiane. Le consuetudini della giovane contessa rischiavano di divenire, a dir poco, discutibili, negli ultimi tempi, pensò Titta scrollando il capo con aria di disapprovazione.
    Per quanto la sua intenzione iniziale fosse quella di passeggiare nelle vicinanze del castello, Elisa non riuscì a resistere all’impulso irrefrenabile di allontanarsi a cavallo. Non valse a nulla l’invito alla prudenza a cui la esortava il suo innato buon senso, si limitò a fare candidamente spallucce e veleggiò con risolutezza verso le scuderie. La sua indole da raminga era lontana dal cedere le armi dinanzi ad insidie e pericoli, e del resto, avrebbe preferito di gran lunga fronteggiare una temibile banda di masnadieri, piuttosto che rinunciare a quei preziosi attimi di libertà.
    Alla sua richiesta di sellare Fedro, lo staffiere non seppe trattenere un moto di sorpresa:
    - Fedro …signora?-
    - Sì, Fedro, grazie Titta…- ripeté con soave, ma incrollabile determinazione Elisa, ignorando deliberatamente la nota scandalizzata nella voce dell’altro.
    - Desiderate forse che vi accompagni? – insisté ancora l’uomo, tendendo l’orecchio al lontano bubbolio che sembrava annunciare un temporale.
    - No, ti ringrazio Titta, andrò da sola, come ho sempre fatto…- replicò la contessa, sottolineando le ultime parole con una sorta di quieta arroganza che non ammetteva repliche.
    Davanti a quel muro impenetrabile, Titta eseguì quanto gli veniva chiesto in silenzio, senza battere più ciglio. Non era certo stato assunto per commentare le stravaganze dei padroni, si trattasse pure della contessa Elisa, che egli conosceva da quando era solo una ragazzina, pensò guardando l’armoniosa figura di donna svanire al galoppo, oltre la curva del viale.
    Lontana dall’atmosfera opprimente che circondava la dimora, Elisa respirò profondamente l’aria fresca del mattino. La sensazione del vento sul viso e tra i capelli, le ridiede un’immediata sensazione di benessere. Non si era prefissa una meta precisa, il suo unico scopo era fuggire lontano da tutto e lasciarsi alle spalle, almeno per un po’, le ansie e i pensieri insidiosi della notte, forse persino una promessa che cominciava a starle troppo stretta.
    Nell’ampia radura erbosa che precedeva il bosco di pioppi, una pioggia tagliente la investì in pieno viso, mentre il fragore dei tuoni si approssimava minaccioso.
    Spronò il cavallo e prese il sentiero a monte, quello che costeggiava il bosco di castagni e conduceva al convento …

    In quello stesso momento, all’interno di una delle stanze private degli appartamenti reali, il re e il suo consigliere erano impegnati in una conversazione riservata. L’ora insolita del misterioso convegno, lasciava presagire che si trattasse di una questione tanto delicata quanto di ordine prioritario.
    Un fulmine squarciò le nubi, facendo riverberare di una luce improvvisa i loro volti contratti, il loro sguardo inquieto e tagliente.
    - Ancora nulla di nuovo, Sire, malgrado l’attenta accuratezza delle ricerche…! Chi ha frugato tra quelle carte, tuttavia, sembrava avere idee piuttosto chiare sull’obiettivo da perseguire. Una sezione in particolare, ha suscitato l’interesse della nostra fantomatica spia, e il disordine rivelatore di quelle carte, lascia pochi dubbi sulle sue mire … perché vedete Vostra Maestà, i documenti risalgono tutti…-
    Vittorio Amedeo levò la mano in un gesto eloquente e categorico. Il marchese lasciò la frase incompleta.
    - Pensavo di aver distrutto ogni prova anni fa – s’interpose il re - … e invece … lo spettro del passato torna a tenderci un agguato…- sembrava quasi assorto in una sua meditazione - …e, mi pare di aver compreso, ci muoviamo ancora nell’oscurità più totale….Non è emerso nulla sulla sua identità, non vi è nessuna idea di chi possa avere interesse a gettare del fango sulla corona, né di chi possa aver fatto scoperte tanto insidiose…non abbiamo che un misero pugno di mosche in mano!–
    La sua voce pericolosamente calma, celava, a tratti, un’energia per nulla rassicurante. Vittorio Amedeo spostò rabbiosamente il tagliacarte, di pregevole fattura, da un punto all’altro della grande scrivania non abbandonando mai , con lo sguardo, il marchese:
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    - Avete forse l’impudenza di dirmi che il nostro accorto infiltrato si è introdotto impunemente in una delle stanze, che avrebbe dovuto essere, tra le più sicure e sorvegliate del palazzo, e che voi non siete nemmeno in grado di portarmi la sua testa su un piatto d’argento? –
    Il tono del discorso era andato gradualmente crescendo d’intensità, fino all’incontenibile esplosione finale. Disorientare la vittima della sua collera, con un esordio condiscendente, era tipico della natura insidiosa del sovrano. Nessuno riusciva mai a cogliere l’esatta natura dei suoi pensieri, né a comprendere l’imminenza della minaccia.
    Gli occhi di Sua Maestà divampavano di collera, adesso:
    - Sappiate che vi ritengo personalmente responsabile di quanto è accaduto, marchese Montiglio! E’ il caso, forse, che vi rammenti qual è la vostra posizione riguardo a questa incresciosa faccenda? Il vostro prestigio, la vostra stessa…carica, dipendono soltanto dal successo delle vostre indagini, non dimenticatelo! – le sue mani esangui erano contratte intorno alla scrivania. Lasciò bruscamente la presa e si diede ad osservare, di là dai vetri, i soldati che si apprestavano al cambio della guardia – La prima cosa che farete uscendo da questa stanza, mio caro marchese, sarà quella di sostituire, degnamente, il branco di incompetenti, che si sono lasciati tanto ingenuamente ingannare, quella notte! -
    Fece una pausa ad effetto, fissando a lungo il suo interlocutore, gli occhi due affilatissime lame d’acciaio. Il marchese cercò di sostenerne lo sguardo e si allentò impercettibilmente la cravatta di pizzo.
    - In secondo luogo…- proseguì il sovrano, in un tono ingannevolmente cortese in cui vibrava una nota spietata – vi prodigherete personalmente affinché, il nostro illustre prigioniero, il marchese Salvati, confessi il nome del destinatario di ogni sua possibile indiscrezione, in merito ai suoi servigi…infine, farete in modo che non abbia più a condividere con NESSUNO le delicate informazioni in suo possesso. Spero di essere stato abbastanza esplicito, marchese…poiché non tollererò altre spiacevoli sorprese! -
    - Inequivocabilmente esplicito, Vostra Maestà.-
    - Bene andate pure, allora. E tenetemi al corrente. –
    L’altro accennò a un rapido inchino e fece per congedarsi, quando il sovrano, sul punto di agitare un campanello d’oro finemente cesellato, sembrò cambiare repentinamente idea:
    - Un’ultima cosa, marchese.- il consigliere si volse a guardarlo, in attesa - Non vi è alcun dubbio che ricordiate il nome del gentiluomo che, ben quattro anni fa, venne a conoscenza di preziose informazioni riservate, intercettando un colloquio privato…- l’altro annuì, senza esitazioni – Per quanto la certezza della dipartita del conte Ristori ci abbia …– le sue labbra s’incresparono lievemente, beffarde - rassicurato per anni, l’attuale stato delle cose sembra cambiare le carte in tavola…potrebbe, infatti esserci una remota, ma non trascurabile, possibilità che la nostra cara “contessa” custodisca le ultime confessioni del marito…-
    Il marchese Montiglio corrugò impercettibilmente la fronte:
    - Ebbene, Vostra Maestà…? –
    - Ebbene, mio caro marchese, ritengo che la casata Ristori sia stata tenuta, lontana dalla vita di corte, troppo a lungo…e voi sapete quanto io sia incline alla magnanimità! –
    Il perfido sorriso d’intesa, che si dipinse sul volto del sovrano, fu sufficiente a fugare ogni dubbio sulla natura delle sue trame.
2 replies since 17/1/2006
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