Grandi Storie d'Amore: libri, telefilm, film, musical... e tanto altro!

Una versione alternativa di Elisa di Rivombrosa3

I PUNTATA _ SEGRETI E RIMPIANTI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. dordogne
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    4,649

    Status
    Offline
    Visto che si tratta di una storia d'amore, posto anche qui la mia fanfiction...
    E' nata dal rimpianto per la fine tragica dell' amore unico, tra Elisa e Fabrizio, in EdR2...e spero condividiate con me il sogno che continui per sempre, come in una bella fiaba! ;)

    I PUNTATA

    Mentre spronava il baio impaziente attraverso il declivio scosceso che conduceva al lago, la splendida amazzone si volse per un lungo istante, come in attesa.
    Pure, nessuna figura si delineò oltre la curva gentile e nebulosa della collina, come ci si sarebbe aspettati in un primo momento. La gentildonna socchiuse allora gli occhi, quasi ad indugiare su un segreto pensiero e, restituendo la chioma indomita ai capricci del vento, tornò ad appiattirsi sul dorso dell’animale, al galoppo. Sebbene la raffinata eleganza degli abiti e l’indiscutibile grazia dei movimenti, non sembrassero lasciare dubbi sulla sua estrazione sociale, vi era una tale fresca e inconsapevole inosservanza dell’etichetta nel suo contegno, nel suo stesso incauto vagabondare senza scorta alcuna, da apparire quantomeno singolarmente inusuale in una dama d’elevato lignaggio.
    L’aria pungente del primo mattino faceva sentire la sua morsa inclemente, ma la giovane donna pareva non curarsene affatto, si lasciava inebriare dall’acre fragranza di resina, che i boschi di conifere sprigionavano tutt’intorno, e dalla sensazione esaltante di quella corsa, quasi a volervi estinguere caparbiamente ombre importune.
    Oltre il poggio erboso punteggiato di faggi, si apriva la radura che circondava l’immenso specchio d’acqua del lago; i primi timidi chiarori dell’alba ne animavano la superficie lattiginosa di riflessi cangianti e molteplici, e riaccendevano dolcemente i colori di quell’universo sopito, dove ogni cosa si svestiva del suo involucro d’ombra per offrirsi senza difese alla luce inesorabile del giorno.
    La figura armoniosa rallentò l’andatura del cavallo fino a fermarsi in prossimità della distesa scintillante, scese agilmente e, dopo aver legato saldamente le redini ad un ramo vicino, si mise a sedere sul tronco di un albero abbattuto, che affiorava dal verde tenero della riva.
    Le solitarie passeggiate mattutine erano ormai divenute una piacevole consuetudine. Contrariamente a quanto accadeva alle gentildonne di nascita aristocratica, la giovane contessa Ristori non si faceva mai scrupolo a girovagare da sola, quell’abitudine le veniva dai tempi in cui non era che un’umile serva, quando la sua indole orgogliosa e ribelle la spingeva a trovare un’evasione alla sorveglianza serrata di padroni dispotici ed esigenti. Persino adesso, tuttavia, la conquista di un prestigio sociale che la affrancava da soprusi ed imposizioni, non aveva reso meno impellente, in lei, il bisogno di ritagliarsi uno spazio tutto suo, lontano dal frastuono del mondo. Si era interrogata a lungo sulla ragione di quell’inquietudine che rifuggiva gli sguardi, aveva frugato in fondo al suo essere e aveva scoperto che la risposta era sempre stata lì, per quanto dolorosa, racchiusa in un rimpianto che nemmeno il nuovo amore era riuscito a cancellare.
    Si lasciò quietare in silenzio dalla pace che la avvolgeva, sperdendo le barriere tra i pensieri quando, d’improvviso, le parve di distinguere un crepitio intermittente, come di foglie secche che cedono sotto passi lenti e circospetti, lo scricchiolio prolungato si ripeté ancora, poi cessò del tutto. La contessa trasalì e si voltò di scatto nella direzione di quel suono, si alzò in preda ad un’agitazione crescente, giusto in tempo per cogliere un fuggevole movimento tra le fronde di un albero, il fulmineo saettare di un tabarro scuro che svaniva nel folto del bosco.
    Non sembrava esservi alcun dubbio, ormai. Qualcuno l’aveva spiata per tutto quel tempo, indisturbato, ma chi? E quale poteva mai esserne la ragione?
    Uno stormo di uccelli sfiorò, planando, le volute concentriche, che il guizzo di un pesce doveva aver disegnato sulla liquida superficie del lago, poi si udì soltanto il lieve frusciare delle acque che carezzavano la riva. Ma la magia era stata spezzata, e la giovane donna non riusciva a scrollarsi di dosso l’orribile sensazione che il suo rifugio fosse stato irreparabilmente profanato.
    Montò rapidamente a cavallo lanciandolo al galoppo verso la tenuta, intendeva allontanarsi il più possibile da quei luoghi e da quel cavaliere misterioso…


    Finalmente i contorni noti di Rivombrosa apparvero all’orizzonte, esercitando un’influenza rassicurante sull’animo turbato della giovane amazzone. Man mano che lei si avvicinava, gli alti e verdi olmi, che facevano da sentinelle, oltre l’ampia cancellata, sembravano perdere compattezza per cederle cavallerescamente il passo. L’antica dimora parve allora stiracchiarsi oziosamente sotto il sole incerto del primo mattino, delineandosi, con aerea levità, su uno sfondo d’alabastro.
    Le guance arrossate per l’affanno e il vento sferzante, la contessa salì in fretta i gradini dell’elegante scalinata che dava accesso al portone centrale, percorse la lunga galleria che la separava dalla sua stanza e, in un movimento rapido e deciso, si richiuse la porta alle spalle.
    Il gentiluomo dalla folta chioma bruna, il capo abbandonato in una plastica movenza, tra i cuscini di seta, dormiva ancora. I bei lineamenti distesi dal sonno apparivano quelli di un bambino imbronciato. La donna sorrise brevemente, con tenerezza e prese a svestirsi a gesti lenti e aggraziati.
    - …Mi addormento con una bellissima dama e finisco con lo svegliarmi tutto solo…dove sei stata ancora, Elisa?-
    Per quanto torpida e indolente, l’inflessione della voce maschile alle sue spalle, tradiva una nota perentoria che non concedeva spazio al silenzio. La contessa levò il volto con un brivido breve, improvvisando un incerto sorriso.
    - Mi era impossibile dormire, stamani, così ho fatto una cavalcata fino al lago…-
    - Potevi almeno svegliarmi, sarei venuto volentieri con te…sai bene quanto sia imprudente per una signora, avventurarsi da sola a quest’ora del mattino! –
    Ignorando quanto pericolosamente le sue ansie si avvicinassero alla verità, il gentiluomo si sollevò su un gomito, continuando a fissare preoccupato la figura armoniosa di fronte a lui.
    Elisa si sforzò di restituire ai suoi scuri occhi indagatori, uno sguardo sereno e rassicurante.
    - Credo che la tua esagerata apprensione ti faccia vedere pericoli e insidie laddove non ce ne sono, Cristiano – mentì con disinvolta leggerezza – conosco questi luoghi come le mie tasche, e mi avventuro senza scorta da quando non ero che una bimbetta! –
    Sconosceva la ragione che l’aveva spinta a tacere del misterioso incontro tra i boschi, un’intima resistenza le impediva di parlarne, sia pure all’uomo al quale, molto presto, sarebbe appartenuta per il resto della sua vita. A quel pensiero provò un’inspiegabile stretta allo stomaco, la memoria riandò al ricordo di un tempo, non molto lontano, in cui aveva atteso con trepidazione che un altro uomo coronasse il suo sogno d’amore, aveva creduto con tutta se stessa che quel sogno non potesse venire infranto. Invece si era bruscamente svegliata.
    Cristiano la trasse dolcemente a sé, sfiorò con il palmo della mano, una mano di lei, la strinse, le accarezzò il polso, poi parve tracciare il contorno delle spalle e giunse, infine, a sfiorarle una guancia. Quel gesto sensuale e tenero conteneva una muta richiesta che attendeva pazientemente una risposta.
    - E’ solo che …tu sei troppo preziosa ai miei occhi, amor mio…- sussurrò con voce colma di desiderio il principe, portando a termine l’opera seducente che la nostra eroina aveva inconsapevolmente iniziato sotto il suo sguardo.
    Elisa si contrasse impercettibilmente, il tocco di quelle mani indolenti e imperiose a un tempo la faceva sentire singolarmente in trappola. La tempesta interiore che la invadeva non le consentiva di lasciarsi andare alla tenerezza senza provare una fitta di fastidio. Tuttavia, non conosceva alcun pretesto per sottrarvisi senza rischiare di ferire Cristiano, all’oscuro da tanti foschi pensieri.
    Le sue carezze stonate, i suoi baci dissonanti fecero eco a quelli appassionati di lui, fondendosi nella penombra indulgente che avvolgeva la stanza.


    La figura scura, racchiusa nell’ampio tabarro, avanzò con cautela sulla coltre di foglie del sottobosco. Due occhi di ghiaccio scintillavano di una luce impenetrabile attraverso le fronde che facevano da schermo, curiosamente fissi sull’immagine di donna che campeggiava contro l’azzurro sbiadito delle acque. D’un tratto il ramo, che stringeva inconsapevolmente con una mano, si spezzò di netto, in un suono secco che lo ridestò dai suoi pensieri. Distolse allora bruscamente lo sguardo dalla seducente visione, indietreggiò di qualche passo e si allontanò furtivo, proprio nell’istante in cui la contessa si volgeva, attratta da quei rumori.
    Non fu che un attimo e la figura si dileguò tra i boschi, con movimenti felini e scattanti, tagliando diametralmente verso la china erbosa, dove la sua cavalcatura attendeva, scalpitante d’impazienza.
    Se l’agilità elegante e disinvolta con cui montò, d’un balzo, in sella e la sicurezza altera di ogni suo impercettibile movimento non fossero bastate a tradire, nel cavaliere, delle origini aristocratiche, l’improvviso sfavillio di un sigillo, sulla sua mano dinoccolata, parve fugare ogni incertezza.
    La luminosità del giorno muoveva già verso il silenzio del crepuscolo, quando il gentiluomo giunse a Torino, dopo aver cavalcato per ore ad una velocità sostenuta. Si era concesso solo il tempo di un pasto veloce in una stazione di posta di passaggio, e tuttavia, la sua espressione imperturbabile non lasciava trasparire la benché minima ombra di stanchezza. Egli percorse al trotto uno stretto vicolo di periferia, finché non tirò le redini dinanzi all’insegna arrugginita di quella che, a giudicare dall’aspetto, risultava essere una locanda di second’ordine.
    Non appena ne ebbe varcato la soglia, la proprietaria, una donna corpulenta dai modi ossequiosi e la cuffia di sghimbescio, gli si fece sollecitamente dappresso e allargò goffamente le gonne in un inchino, tanto profondo quanto elevata doveva essere la sua considerazione per il gentiluomo.
    - Sua Signoria desidera cenare subito? Devo servire in camera o nella saletta ? …–
    Sua Signoria levò un dito ad arrestare quel pedante flusso di parole:
    - Attendo un ospite per le sette, la saletta privata andrà benissimo, vi ringrazio. -
    - Certo Vostra Signoria, per le sette, come Vostra Signoria desidera! Michele, accompagna il conte d’Anvau alla sua stanza! – tuonò la donna, rivolgendosi imperiosamente ad un ragazzetto spaurito.
    - Non sarà necessario, grazie. Conosco benissimo la strada! – il gesto di protesta era stato categorico e la locandiera rimase a fissare la sagoma fiera che scompariva su per le scale.
    La locanda del “Cavaliere errante” era una stazione di posta assai modesta, ma disponeva di stanze confortevoli e pulite ed era sorprendentemente provvista di una cuoca eccellente.
    Dopo essersi liberato del mantello, Sua Signoria si lasciò cadere sull’unica poltrona che faceva da arredo all’esigua stanzetta, e sembrò sprofondare in una cupa meditazione.
    Più tardi, quando dei colpi solleciti all’uscio lo richiamarono alla realtà, egli non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso. Al suo invito la porta si dischiuse lasciando passare il locandiere:
    - Un gentiluomo chiede del conte d’Anvau, Vostra Signoria, presumo si tratti dell’ospite che attendevate…-
    - Bene, introducetelo pure nella saletta, arrivo subito e, un’ultima cosa buonuomo…il mio incontro è molto personale. Sono certo di poter contare su di voi affinché nessuno debba interromperci -
    Il locandiere gli rivolse uno sguardo penetrante, e s’inchinò brevemente, il viso grassoccio una maschera imperscrutabile:
    - Certamente Vostra Signoria, contate pure su di me..e sulla mia discrezione. – disse soltanto, e si allontanò.
    L’ospite annunciato lo attendeva dabbasso, nel piccolo ambiente predisposto per gli incontri privati, le mani protese verso la fiamma vivace del camino. Si voltò, all’ingresso del gentiluomo, e accompagnò il saluto con il breve accenno ad un inchino a cui l’altro rispose prontamente:
    - Siete il benvenuto, amico mio, accomodatevi ve ne prego- lo invitò calorosamente il conte, indicando una sedia poco distante – non si può certo dire che questa locanda abbia un aspetto edificante, ma credo di poter affermare che, almeno la cucina è eccellente. Volete farmi l’onore di essere mio ospite per la cena? –
    L’ espressione di sorpresa che si era dipinta sul volto del suo interlocutore, scomparve quasi subito per cedere il posto a un sorriso amichevole.
    - Sarà per me un privilegio, accettare il vostro invito. –
    Il conte versò del chiaretto nei due calici, che facevano bella mostra sulla tavola, e ne porse uno all’altro commensale. Alla luce soffusa delle candele, il riflesso delle fiamme avvolgeva di bagliori ambrati e tremolanti il cristallo convesso. Sua Signoria sorseggiò lentamente il vino:
    - Dubito che sia della qualità di quello che producete voi stesso, ma non è affatto disdicevole, credetemi! ….E ora ditemi, amico mio, che nuove mi portate?-
    L’interlocutore parve esitare per qualche breve istante, poi replicò con un’altra domanda:
    - …e quanto ai vostri agganci d’oltralpe, conte?-
    - La corona di Francia si dichiara pronta a dare il suo sostegno, purché le accuse siano suffragate da prove inequivocabili! -
    - Molto bene, allora. La consegna è prevista per domani sera, conte. Con un po’ d’astuzia e non poco sangue freddo riusciremo a far sì che possiate introdurvi a palazzo, per il resto….spetta a voi portare a termine la missione. Non posso che augurarvi buona fortuna e raccomandarvi di essere cauto, sono certo che non ignoriate i rischi ...-
    Il conte sorrise, d’un sorriso amaro e sarcastico:
    - Non v’è alcuna ragione di temere per la mia incolumità, sono perfettamente in grado di badare a me stesso …perseguo quest’obiettivo da così tanto tempo, che non lascerò che qualcuno mi ostacoli ancora – la sua voce era divenuta aspra – E’ a voi, piuttosto, che dovete pensare, siete certo di volere andare fino in fondo? A me non rimane più nulla da perdere, ma voi….? -
    - Vi ho già dato la mia parola, conte, e mi lusingo di mantenere sempre fede alla parola data. Mi sento onorato che abbiate riposto in me la vostra fiducia. Quando ho scelto di seguirvi nei vostri intenti, l’ho fatto con assoluta convinzione, sicuro di lottare per una giusta causa….sarò con voi fino alla morte, se necessario! –
    Il gentiluomo lo ascoltava in silenzio, contemplando il riflesso delle fiamme nel calice, con espressione assorta. Alla fine del discorso spostò uno sguardo penetrante su quello franco dell’altro commensale:
    - Non ho dunque sbagliato nel giudicarvi, vi confermate un uomo integerrimo e coraggioso…del resto ne avete dato prova in più di un’occasione! –
    L’ospite contrasse impercettibilmente una mano in un moto d’imbarazzo:
    - Non parliamone più, conte. Se i vostri sospetti sulla corona sono fondati…ci vorrà ben altro che il semplice coraggio per venirne a capo! –
    - I miei sospetti SONO fondati, amico mio. Il colloquio privato che ho inavvertitamente ascoltato anni fa, tra il marchese Salvati e Sua Maestà, non concedeva spazio a incertezze. La sfrenata sete di potere di Vittorio Amedeo lo ha spinto a macchiarsi, con la connivenza del suo medico personale, del più riprovevole dei crimini, il vecchio re è stato vittima di una perfidia infima e inammissibile! -
    - …E credete forse che il sovrano sia stato così stolto da lasciare le prove di quell’orrendo misfatto ? –
    - No, non lo credo affatto, non le prove di quello, quantomeno….ma non vi ho ancora detto tutto di quella conversazione, amico mio, vi ho taciuto una verità che racchiude la chiave di un enigma più complesso… la corona custodisce un segreto ben più inquietante…


    La sera seguente, al palazzo reale, gli oscuri complotti, cospirati nell’ombra di una locanda dei sobborghi di Torino, prendevano mirabilmente forma...
    In un impeccabile susseguirsi di azioni sapientemente coordinate con il suo complice, il conte d’Anvau scivolava furtivamente da una porta-finestra, all’interno della fastosa dimora.
    La sua sagoma mosse qualche passo, con circospezione, nell’oscurità della stanza. A giudicare dal silenzio che regnava tutt’intorno, il campo doveva essere momentaneamente libero. Soltanto le voci ovattate e lontane degli ufficiali che facevano il turno di guardia, lo raggiungevano ora, di tanto in tanto. Egli gettò un ultimo, rapido sguardo dalla finestra per accertarsi che tutto procedesse secondo i piani, quindi ritornò a concentrarsi sul suo obiettivo. I suoi pensieri erano una tempesta febbrile. Doveva agire in fretta, si disse. Le certezze di cui disponeva erano ben poche, non gli restava che agire d’intuito, come aveva sempre fatto, ed augurarsi che, anche quella volta, tutto sarebbe andato a buon fine. Su una cosa, almeno, non sembravano esservi dubbi: i documenti erano sicuramente custoditi in un nascondiglio al di fuori della portata degli sguardi indiscreti, assieme ad altro materiale scottante o strettamente riservato.
    Attraverso il buio denso, rotto appena dalla fievole luce lunare, i volti austeri dei ritratti a olio appesi intorno a lui, sembravano materializzarsi ed osservarlo con un ghigno di derisione. Poté distinguere a fatica i contorni degli oggetti: la stanza era delimitata, da un lato, da una pesante scaffalatura di mogano che ne occupava quasi interamente la parete. Decise subito che quello sarebbe stato il punto di partenza per le ricerche. Tese ancora l’orecchio, nulla. I suoi movimenti erano cauti e calibrati, sarebbe bastata una disattenzione, sia pure impercettibile, e i piani di anni sarebbero stati compromessi. Ispezionò a tastoni ogni centimetro della libreria, ma , per quanto circostanziata e scrupolosa, l’indagine non sembrò portare alla luce nessuna nicchia, né sporgenza rivelatrice. Non v’era apparentemente alcun indizio che potesse far pensare ad una doppia parete; i lievi colpetti assestati in vari punti, echeggiavano debolmente generando un suono pieno che non lasciava sperare nulla di buono.
    “ Maledizione” il conte strinse gli occhi in un moto di rabbia incontrollata “sento che deve essere qui, da qualche parte, se solo sapessi…”
    L’esclamazione rimase in sospeso, sotto la pressione leggera delle sue dita, un libro si spostò, producendo un rumore inequivocabile, e il pannello cedette docilmente in avanti, svelando uno spazio di dimensioni ridotte. Egli si sentì percorrere da una scarica di adrenalina, e un incommensurabile senso di trionfo lo invase. Accostò prudentemente il pannello e accese la torcia. Dopotutto non si era sbagliato, era stato più facile di quanto avesse previsto…



    Più di quindici giorni erano ormai trascorsi dal misterioso incontro al lago, quando a Rivombrosa giunse il momento di uno di quei trattenimenti campestri in cui gli ospiti, dopo aver trascorso una parte della giornata negli splendidi giardini, tra giochi e attività amene, possono piacevolmente consumare un pranzo servito su tavoli disposti all’aperto, o nella grande terrazza.
    Quell’evento non era che uno dei tanti che avrebbero preceduto, di lì a qualche settimana, le nozze tanto attese tra la contessa Ristori e il Principe Caracciolo.
    La giornata si era annunciata incantevole, il sole degli ultimi giorni aveva fatto fiorire il giardino animandolo di tinte vivide e scintillanti e l’acqua trasparente della cascata ricadeva spumeggiando dalle bocche di sinuosi pesci di pietra singolarmente attorti.
    Nella colorata cornice del parco, un’affaccendata padrona di casa dava gli ultimi coreografici ritocchi disponendo esotiche lanterne e cogliendo rami di glicine, per farne delle ghirlande da mettere al collo delle statue solenni che custodivano l’ingresso ai viali.
    I primi ospiti cominciarono ad affluire quando la pendola dorata, nella biblioteca, aveva da poco scoccato le tre. Al gruppo sparuto di amici che ancora frequentavano la tenuta si mescolarono i molti esponenti della nobiltà napoletana, giunti in quei giorni in Piemonte dietro esplicito invito del Principe di Magliano.
    Nell’abito di satin “soupir étouffé”, bordato di roselline di crespo, e l’incarnato delicatamente acceso dall’emozione, la contessa si accinse a fare impeccabilmente gli onori di casa, sotto lo sguardo d’approvazione della cognata Anna, che non cessava mai di stupirsi dinanzi alla grazia e alla maestria con cui Elisa mostrava di saper affrontare ogni nuova situazione.
    A dispetto di tanti affanni ed apprensioni, il pomeriggio si rivelò perfetto. Le conversazioni più svariate ravvivavano allegramente l’atmosfera palpitante di primavera e ovunque sbocciavano ombrellini di pizzo dalle mille sfumature pastello, perfettamente in armonia con quel magico scenario bucolico. Alla pigra indolenza delle dame, che preferivano oziare tra un sorbetto e un virtuosismo musicale, si contrapponeva l’instancabile vitalità degli ospiti sempre alla ricerca di nuove e stimolanti iniziative. Fu la giovane baronessa d’Angelo a richiamare l’attenzione dei presenti per chiedere che ci si svagasse con il gioco della mosca cieca, tanto in voga alla corte di Francia. La proposta fu subito accolta con entusiasmo e, dopo aver cercato un fazzoletto di seta che oscurasse la vista in maniera adeguata, si scelse una radura del parco sufficientemente ampia, e si stabilì che il giovane marchese d’Andrea di Pescopagano, dovesse essere il primo a condurre la caccia. Sotto gli occhi annoiati e sornioni dei gentiluomini troppo austeri per prendere parte a siffatto spreco d’energia, ebbe inizio il carosello.
    La piccola Agnese salterellava di qua e di là come una farfalla lanciando gridolini di gioia, seguita dall’occhio vigile di Amelia.
    Cristiano, appoggiato pigramente alla balaustra, osservava distrattamente le agili figure che saettavano nei leggiadri movimenti del gioco, si protendevano dispettosamente o si ritraevano gettandosi all’indietro, ascoltava riecheggiare le risate argentine delle dame; ma il centro del suo interesse si spostò ben presto su Elisa, impegnata, a breve distanza, in una poco attenta conversazione con un gentiluomo pingue e vanesio che sembrava ricolmarla di pomposissimi elogi.
    - Sono sicuro che non vi dispiacerà, barone, se vi rubo per un istante la futura principessa? – esclamò Cristiano, avendo tempestivamente colto l’espressione annoiata di Elisa
    - Ma certamente, Principe, servo vostro – rispose il gentiluomo congedandosi con un cerimonioso inchino.
    Elisa trasse un profondo sospiro di sollievo e ricompensò il suo liberatore con uno sguardo colmo di gratitudine:
    - Mi hai salvato da morte certa!- scherzò con occhi sfavillanti di malizia.
    - Non partecipi al gioco, amor mio?- la esortò amabilmente.
    - E tu? –
    - Lo farò, e così dovresti fare pure tu. Appartarsi dall’universale gaiezza non è indicato in un giorno come questo. Dopo tutto siamo noi l’oggetto di tanti festeggiamenti! –
    - Prenderemo parte al gioco, dunque. – disse in tono brioso lei, facendo il gesto di allontanarsi.
    Cristiano le prese prontamente una mano, trattenendola tra le sue, poi se la portò dolcemente alle labbra:
    - Lascia che mi perda per un attimo nell’incanto dei tuoi occhi…-
    Ella sorrise e si lasciò avvolgere da tanta tenerezza, sembrava finalmente aver dimenticato l’episodio inquietante che l’aveva ossessionata per giorni, ed ora ritrovava tutta la radiosità di una futura sposa.
    Il marchese d’Andrea aveva nel frattempo catturato e riconosciuto la sua preda, e Martino aveva preso il suo posto. La girandola proseguiva gaiamente, e lo scambio di un casto bacio venne proposto come nuovo pegno da offrire al cacciatore, se la preda fosse stata una donzella. Elisa e Cristiano si unirono al cerchio della moscacieca, lasciandosi piacevolmente contagiare dall’entusiasmo infantile.
    Il pomeriggio volgeva al crepuscolo, quando i valletti iniziarono a stendere le candide tovaglie di merletto sui tavoli, i colori delle vesti variopinte delle leggiadre figure impegnate nel gioco non scintillavano più sotto il sole, ma parevano dissolversi tra le luci più pacate della sera. Ed anche i movimenti, che prima erano stati più pronti, adesso sembravano tingersi della stanchezza di quel momento.
    Come la situazione esigeva, la cena si rivelò una combinazione perfetta di semplicità e raffinatezza, ottenendo il consenso e l’ammirazione universale. Il balenare delle lanterne, sapientemente disposte, carpiva suggestivi sfavillii, ora dalle posate ed i cristalli, ora dai preziosi e le vesti, ed a tratti, si avvertiva il profumo delicato del glicine e delle rose rampicanti.
    La contessa era immersa in un’appassionata conversazione con il barone di Tropea, che le narrava dell’ultima pièce di un giovane poeta parigino di cui lui aveva ascoltato la lettura nel salotto di Madame des Touches.
    - Un’opera affascinante e sovversiva che probabilmente non verrà mai rappresentata: una vicenda cruenta traboccante di passione per la libertà e per gli ideali !-
    - Sì, di tanto in tanto, giunge voce anche alla corte sabauda, delle nuove idee progressiste che sembrano ispirare i giovani artisti parigini…e devo ammettere che mi pare di trovare del giusto in quelle interessanti teorie, per quanto estreme, voi no, barone?-
    L’affermazione di Elisa sembrò sorprendere e disorientare l’anziano barone, il fatuo scambio di opinioni sembrava essere andato troppo in là, su un terreno malfermo. Non era aduso a discutere di ideologie politiche con le giovani esponenti dell’aristocrazia che, del resto, sembravano preferire di gran lunga argomenti frivoli e salottieri, conformandosi alle comuni aspettative.
    - Uhm…insulsi vaneggiamenti d’oltralpe, affascinanti in teoria, ma di fatto, estremamente pericolosi! – lasciò cadere il gentiluomo in tono incredulo e imbarazzato – Vi rendete sicuramente conto, cara contessa, di come le loro conseguenze rischierebbero di scardinare tutti i nostri privilegi nobiliari e…-
    L’intervento tempestivo di Antonio richiamò l’attenzione dei presenti, egli si era alzato tendendo un inequivocabile calice in mano:
    - …E adesso, mi sembra giunto il momento di proporre un brindisi…alla contessa Elisa e al Principe Caracciolo!-
    Si alzarono tutti all’unisono:
    - Alla contessa e al principe! –
    - Alla mia diletta cognata – aggiunse Anna visibilmente commossa – che ritrovi la felicità che merita!
    Elisa arrossì vivamente e, levando il bicchiere incontrò, lo sguardo beato di Cristiano che la fissava con tenerezza infinita, ricambiò il sorriso con la gola stretta. Forse, finalmente, il destino le riservava davvero un futuro roseo e ridente. Allora perché continuava a sentire quella fitta molesta al petto?
    Più tardi, quando anche gli ultimi invitati presero congedo, Elisa provò un profondo senso di sollievo. Gli appuntamenti mondani avevano il potere di sfibrarla e non amava sentirsi al centro di tante sollecite attenzioni. Incamminandosi stancamente lungo la galleria dei ritratti, gettò una rapida occhiata alla porta chiusa della stanza di Cristiano. Passò oltre e raggiunse la propria camera. Lasciarsi il mondo alle spalle e ritrovare un po’ di solitudine la fece sentire curiosamente bene. Guardò di sfuggita il campanellino dorato che indugiava sulla toletta e si disse che per quella sera avrebbe fatto volentieri a meno dei servigi di Bianca. Prese a sfilarsi i grappoli di roselline che completavano la sua delicata acconciatura, quando una bizzarra macchia di colore rosso acceso attirò la sua attenzione sul piccolo scrittoio di legno di rosa, posto davanti all’ampia vetrata.
    Si avvicinò per osservare meglio alla luce del candelabro: una visione inattesa la folgorò al centro della superficie di legno levigato. Le ginocchia le si piegarono e dovette tenersi saldamente alla spalliera della sedia per non cadere, deglutì a fatica. Le implicazioni racchiuse in ciò che calamitava il suo sguardo apparivano destabilizzanti quanto sconvolgenti.
    Fiori rossi uguali a quelli che sbocciavano in primavera nei pressi del capanno da caccia, erano graziosamente intrecciati alla collana di turchesi che aveva ricevuto in dono dalla defunta contessa, e accanto ad essi vi era… “il libro” protagonista di tanti intrighi.
    Una sola persona al mondo conosceva così bene l’intima storia di quegli oggetti, da farne un messaggio tanto apertamente esplicito…

    FINE DELLA PUNTATA


     
    .
8 replies since 13/1/2007, 12:00   2643 views
  Share  
.